Cartolina da Stone Town

21 giugno 2012

Se non avrete più mie notizie, non vi preoccupate. Non sarà perché sono stata rapita dai pirati, ma perché ho deciso di bruciare il passaporto e vivere qui come un fantasma nei secoli dei secoli.

Dopo essere stata a Kendwa e Jambiani sono tornata a Stone Town per un ultimo saluto (e ultime scorpacciate) prima di tornare a Dar es Salaam e poi Italia. Meraviglia di cittĂ .

La spiaggetta di Stone Town di fronte al Traveller’s CafĂ© dove andavo spesso
dhow

Questo è il dhow, la barca tipica di Zanzibar, con la caratteristica vela triangolare.

3 giorni a Stone Town

3 giorni a Stone Town

18 Giugno 2012

Questa mattina alle 5 sono stata svegliata da delle voci. Non erano iene stavolta. Facevano ancora piĂą paura. Uno spacciatore cercava di farsi dare dei soldi da un cliente che non voleva pagare. Non so cosa sia successo alla fine, ma credo che il ragazzo inglese sia riuscito a scappare. Rischia di prenderle per 10 euro. Boh.

Jackson. L’ho incontrato oggi pomeriggio in strada. Mi ha commosso chiacchierare con lui. E’ nato qua, ma i suoi antenati sono del Congo, schiavi liberati. Fa parte del 2% dei Tanzaniani cristiani. Non lo sente come un problema, basta non andare in cerca di guai. Lui è contrario alla separazione di Zanzibar dalla Tanganyika, perchĂ© vorrebbe dire debolezza, per entrambe. E’ cristiano, ma è convinto che ci sia un solo Dio uguale per tutti, l’Amore. Mentre siamo lì a parlare si sentono delle urla provenire dal Jaw’s Corner, dove ci si trova tutti i pomeriggi a giocare a domino, dopo la preghiera delle 4. Stanno discutendo sull’indipendenza e sul ruolo del movimento islamico, mi spiega. Quando dopo un po’ passo di lĂ  il mio amico Ali mi conferma che sì, sono un po’ agitati oggi pomeriggio. Meglio che torni piĂą tardi. Ok. Vado allo Slave Market intanto.

Visita allo Slave Market di Stone Town

Come guida mi danno Joseph, che studia legge. Carino, anche lui cristiano, simpatico e mi racconta un sacco di aneddoti. Vedendo che prendo appunti, si mette a dettarmi la storia della schiavitĂą a Zanzibar. I Portoghesi iniziarono il mercato degli schiavi nel 15° secolo, dall’Africa Orientale portavano manodopera in Brasile e Caraibi. Alla fine del XVII secolo i portoghesi furono cacciati dagli arabi di Oman, che li sostituirono nel commercio. La destinazione però cambiò: Madagascar, a lavorare nei campi di canna da zucchero, in Seychelles, a Zanzibar nelle piantagioni di spezie, o come concubine in Oman e India. Gli schiavi venivano tenuti in 15 stanzette di circa 15 metri quadrati. Ci stavano 50 uomini, oppure 70 tra donne e bambini. Incatenati, ricevevano acqua e cibo una volta al giorno. Le stanze, con finestre minuscole, avevano il pavimento in fango e un canaletto in mezzo alla stanza come bagno, che veniva pulito una volta al giorno dall’alta marea. Molti morivano di fame, soffocamento e malattie prima di essere venduti. C’era una pianta di Jojoba a cui venivano legati uno alla volta, e frustrati davanti ai possibili acquirenti. Quanto piĂą uno urlava, tanto meno valeva. Il 6 giugno 1873 gli inglesi obbligarono gli arabi a interrompere il traffico di schiavi. La sede del mercato venne chiusa. Il commercio però continuò, di nascosto, e gli schiavi anzichĂ© a Stone Town venivano tenuti nascosti in caverne sulla costa Nord-Est di Zanzibar, fino al 1907. Un missionario comprò la sede del mercato e ci costruì una chiesa sopra. Al suo interno c’è uno degli organi piĂą vecchi che si trovano in Africa, è del 1880, portato dall’Inghilterra. All’entrata della chiesa ci sono delle colonne, che son state messe capovolte per errore, con la base in alto. Il vescovo che supervisionava la costruzione della chiesa si era dovuto assentare per un periodo, e al suo ritorno si è ritrovato con le colonne sotto-sopra. Beh, non è stata tanta colpa dei Tanzaniani che non avevano mai visto colonne simili prima e non avevano idea di quale fosse il verso giusto.

16h10 sono al Traveller’s CafĂ©. Il caffè costa caretto, 2500 Tsh ed è di quelli solubili, ma la location è spettacolare. C’è un pezzetto di spiaggia qua davanti, dove dei ragazzini giocano a calcio. Sono tornata da Ali prima. Mi ha spiegato che loro preferiscono separarsi dalla Mainland perchĂ© tutte le tasse che pagano vanno a Dar Es Salaam e loro non vedono niente (mi sembra di aver giĂ  sentito questa storia). I sistemi scolastico e sanitario sono pessimi, e stavano molto meglio prima. Non so mai come rispondere, perchĂ© non so cosa sia vero, se veramente la capitale non investe abbastanza sull’isola. Quel che so è che al Sud della Tanzania stanno messi peggio di qua. Per quanto riguarda le chiese a cui è stato dato fuoco qualche settimana fa, è stata opera degli uomini del governo che li vogliono discreditare. Loro non hanno niente contro i cristiani. Sono cresciuti insieme, mangiano insieme, giocano a domino, convivono da secoli; a Zanzibar è stata costruita la prima chiesa dell’Africa Orientale e la cattedrale è a due passi da una moschea. Ali è nato a Zanzibar, il padre a Pemba e la madre a Tanga mi sembra, sulla costa della Mainland. I nonni però sono di Muscat. Era sposato ma la moglie l’ha tradito e non è riuscito a perdonarla. Adesso lei è sposata con un olandese e vive in Europa.

Magari mi faccio anch’io il bagno vestita come quei bambini, che me frega? E’ che poi ci metto una vita ad asciugarmi. Ad un tavolo qui vicino c’è un signore olandese che è anche lui in vacanza. Da 8 anni. Non riesce ad andarsene. Il miscuglio di razze di Zanzibar mi piace un sacco. Ognuno ha antenati che vengono da posti diversi. Sono belli. E parlano un buon inglese quasi tutti. ll che non aiuta il mio apprendimento dello Swahili.

19h45 sono tornata ai Giardini e son stata riacciuffata da Oki Doki, che vuole venire sulla costa a Nord con me. PerchĂ© vuole che la mia vacanza sia migliore di quello che mi aspetto. Che palle, non riesco a liberarmene. Rafiki rafiki mi chiama, amica. See….. mi porta a prendere una bibita al Sunrise, arriviamo tardi per la partita dell’Italia, e alla fine del primo tempo con la scusa che ho sonno me ne torno al mio albergo. Lì vicino guardavano pure gli europei, ma preferivano la Spagna. Peccato.

sunset in stone town

Prison Island, isola delle tartarughe, Stone Town

19 giugno

Non so che ore siano. Asubuhi comunque, mattina. Prison Island. In realtĂ  non ha mai funzionato come prigione. I monsoni nei Paesi intorno all’Oceano Indiano da dicembe a marzo portavano un sacco di barche piene di merci, indiani, arabi e malattie. Così hanno deciso di usare l’isola per mettere in quarantena gli ammalati.

Ora sull’isola c’è un hotel costosissimo e un centro per la salvaguardia delle tartarughe giganti. La piĂą vecchia ha 150 anni. 150 a passare le giornate a mangiare e dormire!!! Dev’essere una noia…

Andiamo anche a fare snorkelling qua vicino. Ci sono dei bei coralli e pescetti. E meduse. Resisto poco in acqua. Pausa in spiaggia ad asciugarci e poi torniamo a Stone Town.

Pranzo al mio posticino preferito dove mi posso mangiare chapati e una zuppa buonissima di pomodoro, cipolla e dei pezzi di carne. Poi caffettino al Jaw’s Corner (il vecchietto vende il caffè a 0.05 euro l’uno, ma ne vende talmente tanti che a fine giornata qualcosa da mettere sotto i tenti ce l’ha! E’ anche buono il caffè, non è di quelli solubili). C’è un Barber Shop al Jaw’s Corner, dove Ali tiene nascosta la sua bottiglietta di whisky e viene a farsi un bicchierino  tra una partita a domino e l’altra, senza che gli altri musulmani convinti lo vedano. Anche il Barber Shop è piuttosto indaffarato, tanti vanno a farsi la barba lì, non avendo elettricitĂ  a casa, e appesi a un muro ci sono caricabatterie per qualsiasi tipo di telefono, a disposizione dei clienti.

20h sono al Sunrise con Ali questa volta. Ali mi piace, almeno è simpatico e allegro e mi racconta storie interessanti. Siamo qui con i suoi amici, che si fanno un aperitivo a base di gin & tonic prima di cena, se si ricordano di mangiare. Un belga, che vive qua da 12 anni, è sposato con una del posto e ha 4 figli; ha aperto uno dei locali piĂą frequentati dai turisti di Stone Town, ma ora si occupa principalmente di consulenze (di che tipo non ho capito). Joy, chiamato così perchĂ© quando beve si mette a cantare e ballare. Creamy, che non ho capito cosa faccia. Sono tutti sulla cinquantina, piuttosto benestanti direi, da quanto spendono in liquori. Si aggiunge un altro, un po’ piĂą giovane, che cerca consiglio perchĂ© la moglie vuole divorziare ma lui non se la sente, ci è troppo affezionato, anche se lei lo tradisce, ha passato buona parte della sua vita con lei e non saprebbe stare senza. Lei per amore di lui si è convertita da cristiana a musulmana. Manca solo il terzo divorzio, quello definitivo. Sì, si convince, domani firma. Ali riceve una chiamata. Una famiglia dalla Mainland è appena sbarcata a Stone Town e cerca una casa da affittare per un mese. In 3 cercano di sistemare la famiglia appena arrivata. Il quarto continua a parlare di sua moglie, un po’ da solo, un po’ rivolgendosi a me. Lei non lo ama piĂą ma non importa, vuole continuare a vivere nella stessa casa. Basta che veda l’altro con discrezione. Arriva un altro ragazzo, un artista, a scroccare una canna. Il belga è felice del suo matrimonio, mi dice, ma quando la moglie lo vede tornare a casa tutte le sere per cena ubriaco e fumato, sarĂ  contenta?

20 Giugno

Sono ancora a Stone Town. Non riesco ad andarmene. Domani dai. Sono alla spiaggetta sotto al Traveller’s cafĂ©. Edi mi sta insegnando un po’ di Swahili. Fin troppo. Probabilmente non ricorderò neanche una delle mille parole che sta cercando di insegnarmi. In cambio io gli insegno un po’ di italiano, che lui giĂ  parla un pochino. Mi diceva Oki Doki che gli italiani sono dei buoni turisti. Ce ne sono tanti che vengono qua, di solito viaggiano in gruppo, in gite di una giornata dal villaggio in cui stanno sulla spiaggia, e spendono un po’ di soldi in souvenirs. Quindi la gente di Stone Town li accoglie volentieri. E quindi tutti parlano un pochino di italiano. L’altro giorno uno mi parlava con un accento calabrese da far paura! Mi dispiace per la gente che viene a Zanzibar e sta solo nei villaggi turistici. Si perdono un sacco. 

15h30 Jaw’s Corner. Il torneo inizia tra mezz’oretta. Intanto è pronto il caffĂ©. E’ un’ora che aspetto. Nel frattempo il ragazzo del Barber Shop mi ha messo un po’ di musica nella usb e mi ha invitata a bere qualcosa e si è offerto di accompagnarmi a Nord. Pure lui. Ha 26 anni, è sposato, e mi ha pure fatto conoscere suo figlio. Che vuole da me? La faccia che fa il tipo indiano quando gioca a domino! E come si incazza con il compagno se sbaglia qualche mossa!! mi sembra di vedere i vecchietti all’acli.

18h20 Sono di nuovo alla spiaggetta del Traveller’s CafĂ©. Sono venuta a vedere il mio amico (che non ricordo neanche come si chiama) giocare a calcio. Cinque giorni che sono qua e mi conoscono tutti per strada. Penso che ci starei bene in questo posto. Dei ragazzini sono venuti in spiaggia ad allenarsi a fare i salti.

Ups and Downs in Stone Town

Ups and Downs in Stone Town

17 Giugno 2012

Tre voglie in particolare mi sono venute in questi ultimi giorni:

1. Cucinare. Non appena torno a casa accetto prenotazioni.

2. Andare a Sottomarina con i miei amici e la sera fermarci a mangiare la pizza a Chioggia.

3. Mettermi qualcosa di diverso da vestire. E’ un mese che metto le solite 3 magliette.

Sono le 15.38 e sono in camera, a Stone Town. Avevo bisogno di una pausa. Pensavo che Zanzibar sarebbe stata ancora piĂą cara del resto della Tanzania, invece piĂą o meno spendo gli stessi soldi. Per dormire ho pagato 20USD la prima notte, ma poi con la minaccia che avrei cambiato posto, il tipo mi ha abbassato il prezzo fino a 12USD. Ok. Bene. Ci sto dentro. Ieri sera ho speso 5000 Tsh per provare il polipo alla griglia ai Forodhani Gardens, dove tutti i turisti vanno a cenare almeno una volta quando sono qua, ma era troppo duro. Tornerò al mio riso da 1000 Tsh stasera. L’unica cosa che mi costa tanto è il caffè, se voglio quello macinato fresco: 3000 Tsh (1,5 euro).

Stone Town è un labirinto. Mi ricorda la medina di Fez. Se non hai qualcuno che ti accompagna, la prima volta è impossibile trovare l’albergo che cerchi. Anche la quinta in realtĂ . Per fortuna c’è sempre qualcuno disposto ad accompagnarti. E’ molto bella la cittĂ . Gli edifici sono un mix di stili, arabo, indiano, africano ed europeo. Nei corsi dei secoli da qui sono passate un sacco di persone, soprattutto mercanti, schiavi e marinai dell’Oceano Indiano (indiani e arabi). Da qui è partito David Livingstone per le sue esplorazioni dell’Africa e qui è nato Faroukh Bulsara, prima di diventare Freddy Mercury, ma non si sa dove di preciso. Mi piace questo mischiotto. Anche le persone sono un bel mix: ci sono neri nerissimi, e neri dai tratti arabi e indiani. E come nel resto della Tanzania convivono musulmani e cristiani. Un paio di settimane fa però qualcuno ha dato fuoco a 4 chiese, qua a Stone Town. Alcuni musulmani vogliono una Zanzibar indipendente e islamica. Non sono sicura che però un paese simile attirerebbe tutti questi turisti. L’ambasciata italiana a Dar Es Salaam mi aveva mandato un sms avvisandomi di evitare alcune zone di Stone Town (che non so neanche dove siano, probabilmente fuori dal centro turistico). Comunque ora è tranquillo, la polizia sta bene attenta a che non ci siano altri disordini.

L’unica scocciatura del camminare per la cittĂ  è che tutti ti chiamano per venderti tours, il giro delle spezie, all’Isola della prigione (dove ci sono le tartarughe giganti), a vedere i delfini, o la barchetta al tramonto. Io non ho voglia di fare neanche uno di questi. Mi basta girare per le stradine, giocare a calcio con una bottiglia di plastica e un bimbo di 5 anni, guardare gli uomini che giocano a domino e che per farsi i segni battono le pedine sul tavolo in una maniera assordante, dividere le mie arance da 5 centesimi con i bambini, bere il caffè in strada dalla stessa tazzina usata un secondo prima da un altro cliente, dopo una veloce risciacquata nella solita bacinella (bello trovare il caffè così disponibile dappertutto, dopo un mese in cui dovevo cercare duramente per berne uno!).  

Stamattina ho fatto colazione con due koreane. Mi hanno detto che sono in viaggio per un mese. Ah bene, solo in Tanzania? Ho chiesto. Sìsì, mi risponde una. “Ma dai, delle koreane atipiche”, penso. E invece la sua amica subito la corregge “no no, un mese in Africa! Siamo state in Sud Africa, Namibia, Botswana, Zimbabwe, Malawi, Zambia e dopo la Tanzania andiamo in Kenya”. Ah ecco. Mi sembrava strano.

20h57

Sono da poco tornata in albergo. Ho passato le ultime due ore ai giardini con un rastaman. All’inizio mi ispirava simpatia, ma poi quando mi ha invitata ad andare dai delfini o dalle tartarughe giganti a “local prices” (cioè prezzi che pagherebbero la gente del posto, suoi amici, non i turisti), quando in realtĂ  sono gli stessi prezzi che ho visto in giro finora, ho capito che voleva solo quello che vogliono tutti qua da un mzungo. Soldi. E in piĂą mi ha presa per una sprovveduta, a quanto pare. Come se in due giorni che sono a Zanzibar non sapessi giĂ  quanto costa uno spice tour (tour delle spezie). E quando mi ha detto che qui scoprirò che la gente è molto piĂą gentile e ospitale della gente della Tanganyika (ancora chiama la Tanzania continentale con il suo vecchio nome, dopo 48 anni che Tanganyika e Zanzibar si sono unite in un’unica repubblica), mi ha dato un po’ fastidio. PerchĂ© è vero che a Dar Es Salaam e Arusha non sarei uscita da sola di notte, mentre qui non mi spaventa, ma non mi può toccare la simpatia e spontaneitĂ  di tutti quelli che ho incontrato finora. Dice che non saranno un unico stato a lungo ancora, perchĂ© tutti vogliono la separazione. Tutti in Zanzibar forse. E’ nato musulmano, ma ora è metĂ  rastafan o come si dice non lo so (e non so bene che tipo di religione sia; lui comunque lo fa perchĂ© così i turisti sanno che è un tipo tranquillo e gli chiedono da fumare). Mi ha raccontato di come qui sia stata costruita la prima chiesa in tutto l’Est Africa, non mi ricordo neanche in che anno, come a testimoniare quanto sono di mentalitĂ  aperta, pur essendo per il 98% musulmani. Volevo chiedergli il suo parere sulle chiese a cui hanno dato fuoco qualche settimana fa, ma non me ne ha dato l’occasione. Mmm… fastidio. Dice che mi posso sentire a casa mia. Beh, mi sentivo piĂą a casa a Lindi o a Kilwa. Qui, soprattutto la zona dei giardini, mi sembra tutto un lavorarsi i turisti.

Poi mi sono infilata in mezzo alle viette dove mi son bevuta una tazza di latte caldo in compagnia di un vecchietto ed è tornato il sereno.