Il lungo viaggio per Cap Haitien

Il lungo viaggio per Cap Haitien

24 marzo 2014

6.30 am. Questa mattina ci hanno informati che c’è la colazione inclusa nel prezzo della camera. Quindi prima colazione, poi si parte. Ecco. Ingossà. Una buona frittatina col formaggio.

7.35 Ci toccherà arrivare col buio anche stasera? Siamo bloccati nel traffico, sembra Arzignano alle 8 del mattino, bloccata dalle auto delle mamme che portano i bimbi a scuola. Alle 6 faticavo ad alzarmi dal letto, ma dalla finestra giungevano i rumori della città già in fermento. Si svegliano decisamente presto in questo Paese, non c’è tempo da perdere!

Bloccati nel traffico mentre andiamo verso il centro di Port au Prince

School bus americani e altri bus con targa francese: probabilmente i Paesi Occidentali anziché buttare gli autobus dimessi li mandano qui, sotto forma di donazioni generose.

Due cose hanno decisamente più grosse che da noi: le macchine e le casse per la musica. Le poche macchine che girano sono per la maggior parte grandi pick-up, Cherokee o Jeep, e anche la bancarella più scassata ha delle casse giganti, magari vecchie decrepite dalle quali si sente un po’ malino, ma in ogni caso la musica dev’essere a volume altissimo.

pap

Le 9. Sono fin troppo onesti gli haitiani. Sul tap-tap per il centro città abbiamo chiesto agli altri passeggeri come potevamo arrivare a Estacion O’Cap, dove c’è il bus per Cap Haitien. La signora di fronte a noi ha chiesto all’autista, che le ha risposto che ci avrebbe portati lui. Bene. Per fortuna poi la signora ha avuto l’accortezza di chiedergli quanto voleva. 500 HTG. Cosa? 8 euro?? Gli altri passeggeri si sono indignati tutti. Un altro signore ci ha detto che bastava scendere alla Grande Rue (la strada del Marché de Fer, dal nome regale ma che in realtà è tra le più sporche e incasinate di PAP) e prendere un altro tap-tap che ci avrebbe portati alla stazione per 10 HTG. Ok. Così facciamo, prendiamo l’altro tap-tap e quando arriviamo, io che ho sempre pagato 15 HTG finora sui mezzi di PAP (circa 0.30 euro), gli do 30, per due persone, e lui mi restituisce 20, perché erano solo 5 a testa. Vabbè, con 20 HTG magari non ci faceva niente, però ha dimostrato di essere onesto.

Alla stazione troviamo subito un bel corrierone scassato strapieno di gente, ci fanno salire dal retro per darci gli ultimi posti disponibili, ed è ora di pagare. Sul biglietto c’è scritto 200. 200 che? Gourde, ho pensato io. Non possono essere 20 USD spero! No. Mostriamo 500 HTG e non vanno bene. Sono 1000 HTG. Ah ok, erano 200 dollari haitiani. Uff? che casino. Qui hanno la doppia moneta (più il dollaro americano negli hotel ed in frontiera). A un certo punto della storia di Haiti il dollaro americano valeva 5 HTG. E’ diventato talmente comune parlare in dollari che usano l’espressione tuttora che il dollaro vale 44 HTG. E’ diventato dollaro haitiano. Non è una moneta diversa, si paga sempre con le stesse banconote stracciate, ma per dire 1000 HTG si dice 200 dolars. Per esempio a Port Salut dovevamo pagare 700. Non avevano da darci il resto di 300 HTG, quindi la cameriera ha chiesto al gestore se aveva 60 dollari. Il tipo che ci ha fatto salire sul bus, uno dei tanti che sopravvivono aiutando i bus a raccogliere i viaggiatori in stazione, era tornato per chiederci altri soldi, ma la gente attorno a noi ci ha aiutato a mandarlo via.

Corriera super piena

Dalle casse della corriera esce una musica che spacca i timpani. Speriamo si parta in fretta perché ci aspetta un lungo viaggio.

Tutto attorno alla corriera ci sono bancarelle con cosmetici, bibite e qualcosa di fritto. Una signora che mi ha visto che dal finestrino dell’autobus cercavo delle bibite, ha informato il venditore. Una 7up e un’acqua 6 dolars. Gli do 100 HTG. Non ha da darmi il resto (qui non hanno mai il resto). “Aspetta”, mi fa. Vedo che parte. Per me potrebbe anche non tornare più e tenersi il resto, il bus partirà presto e ciccia il mio resto, e poi in alcuni ristoranti per turisti abbiamo pagato 100 HTG per una bibita sola. Ma lui no, dopo un po’ torna con i miei soldi.

Venditori all’estacion O’Cap

Sono passati 30 minuti e siamo ancora qui, più caldi e stretti che mai. Quando siamo saliti noi pensavo che la corriera fosse piena, invece hanno fatto sedere una terza persona per ogni due posti. I sedili sono mobili (= staccati), così se necessario si possono spostare verso il corridoio per far sedere una terza persona. Una mezza chiappa nel corridoio a destra, una mezza a sinistra vicino al finestrino, e un intero al centro.

Ogni tanto sale qualcuno che fa un lungo discorso di presentazione di quel che vende. Tutti ascoltano con attenzione. Una ragazza è riuscita a raccogliere 20 HTG e ci delizia con una canzoncina (oggi è la giornata contro? boh, non ho capito). Un altro è riuscito a vendere un inalatore. Il balsamo di tigre invece non va tanto.

Partita la musica sacra. Tra Les Cayes e PAP ci siamo fatti 12 ore di musica religiosa (Dieu qua e Dieu là), con il ragazzo che raccoglieva i soldi del biglietto che ogni tanto si metteva a cantare e mimare la canzone, tanto era preso.

10 circa. Siamo partiti da 15 minuti e ci ha fermati la polizia. E perché mai? Saremo mica sovra-affollati con troppa roba sul tetto, su un bus che sta andando a pezzi e che corre troppo??!

Respiro durante una sosta per gonfiare la ruota

12.35 Iniziata ufficialmente la caccarella. Siamo fermi per un problema non meglio identificato. Da quando abbiamo lasciato PAP un tipo ha passato due ore a esporre dettagliatamente i suoi prodotti ed è anche riuscito a vendere qualcosa. Poi ci siamo fermati a fare pipì (mentre gonfiavano un po’ una delle gomme centrali), io ho scagazzato mentre tutti mi guardavano (non c’era neanche una pianta a nascondermi) e siamo ripartiti con la musica. Ora siamo fermi di nuovo. Intanto devono capire qual è il problema. Impossibile dormire su questa corriera. Non capisco perché debbano correre così tanto. E il clacson suona di continuo per avvertire: “sto arrivando e meglio che ti scansi perché sono talmente lanciato che se ti vengo addosso ci spacchiamo entrambi”. Frenano solo se dall’altra parte arriva un camion/carro armato. Ho paura di avere ancora la caccarella che scende, da quanto era liquida. Ci siamo fermati altre due volte per gonfiare la ruota centrale. Tra la paura di ribaltare, lo sforzo per tenermi aggrappata con tutti sti salti e la fatica di tenere i muscoli in tensione per non farmela addosso, questo viaggio è uno strazio.

Mi consola solo la vista dal finestrino: bei paesaggi aridi, palme e cactus alti 6 metri.

20h35 Cap Haitien. Credevo che oggi sarei morta. Mi ha quasi fatto bestemmiare. Pazzo di un chauffeur. Su strade scassate, con un bus scassato dalla tenuta meno di zero e una ruota sgonfia, correva come un pazzo, con brutti dirupi a lato della strada. E comunque anche sul piano, con tutte quelle buche sarebbe stato un attimo ribaltarsi. Alcuni passeggeri mostravano fiducia nel loro autista ed erano tranquilli, altri ogni tanto si lamentavano, ma inutilmente.

Dalla strada ho notato che nel fiume si lavano, lavano l’automobile, lavano i vestiti che poi mettono ad asciugare sui sassi della parte asciutta del letto del fiume, sull’erba davanti a casa, sul tetto di casa o sulle siepi di cactus.

Contenta di essere arrivata a Cap Haitien e di aver trovato facilmente l’albergo. Cap Haitien sembra molto carina, pulita e ordinata rispetto a PAP. L’hotel costa poco, ma è uno schifo, viene usato anche ad ore dagli innamorati, la stanza è minuscola, rumorosa e puzzolente, ma dopo il viaggio di oggi mi sembra il paradiso.

Piedi neri a Port-au-Prince

Piedi neri a Port-au-Prince

23 marzo 2014

Petionville, 11h17

Sembra quasi di stare in America. Ci sono molti “blancs”, edifici più alti di un piano, supermercati su due piani, negozi di vestiti e addirittura bancomat che funzionano! Abbiamo fatto colazione alla patisserie francaise del supermercato. Una pasta e un caffè che ci son costati più che in Italia, ma ce li siamo meritati!

patisserie francaise port au prince

La pasticceria del supermercato

Qui a Petionville si gira veramente tranquilli. E’ la zona dove vivono gli expats (stranieri trasferitisi qui) e gli haitiani più agiati. E’ anche la zona dove ci sono gli hotel più decenti. Ora vediamo com’è giù in paese 🙂

Petionville – vendita al dettaglio

15h30 Hotel Oloffson. Siamo qui a riprenderci dopo la lunga camminata in giro per PAP. Più che altro fa caldissimo e abbiamo i piedi pieni di polvere. L’Oloffson è un’istituzione a Port-au-Prince, un hotel antico in stile gingerbread (pan di zenzero). E’ fuori dalla nostra portata, per pernottarci, ma per una bibita e riprendere fiato ci sta. All’interno ha un murales bellissimo e una zona dove suonano i gruppi. All’esterno è tutto bianco, con dei tavolini sulla veranda e un bel giardino con piscina attorno.

Abbiamo fatto un bel giro finora. Abbiamo preso il tap-tap che ci ha portati fino alla città. Siamo stati a vedere i resti della cattedrale, dove in mezzo ai ruderi stavano facendo una cerimonia.

Notre Dame Cathedral in Port au Prince

Rovine della cattedrale di Notre Dame a Port au Prince

Per arrivare al Marché de Fer, l’antico mercato, meno incasinato di quello di Jacmel, ci siamo persi per una zona poco rassicurante – beh, tutta PAP appena fuori dalle strade attorno alla piazza principale è poco rassicurante. Al Marché de Fer vendevano tante scarpe e cosmetici, capelli finti e tartarughe vere, bamboline per il vudù, yoghurt lasciati a fermentare al sole, ricambi per le automobili (gomme termiche, pezzi di motore, ecc.). Oltre alla parte coperta del mercato, dentro due edifici speculari dal tetto di ferro, ci sono migliaia di banchi (o semplicemente scatole accatastate sulla strada) anche nelle strade circostanti, con dei teli a proteggere dal sole i venditori appisolati tra le proprie merci; e per arrivare alla parte coperta si passa per forza sotto a questi teli, piegati a metà perché sono ad appena un metro e mezzo da terra.

Lasciato il mercato abbiamo camminato verso sud lungo il Boulevard Jean-Jacque Dessalines, una delle arterie principali di Port-au-Prince. Lungo la strada si vedevano meccanici al lavoro, gommisti, venditori di tutti i tipi (bibite, cosmetici, tavole e sedie). Comunque abbastanza tranquillo, a parte il caldo e lo sporco. E’ un’altra cosa passeggiare in pieno giorno senza zaini attorno.

Autista/meccanico al lavoro lungo Boulevard Jean-Jacque Dessalines

Siamo stati a vedere il centro degli artisti di strada con le loro opere vudù. “Perché fanno tutte paura?” Chiedo ad André Eugéne, il fondatore/maestro del centro. “Ma quali ti fanno paura?” mi chiede lui, come se fossero tutte opere normali da esporre in casa, come se un ciccio bello trafitto allo stomaco o un pupazzo con dei paletti negli occhi fossero dei simpatici soprammobili. Queste creazioni dovrebbero tenere lontani gli spiriti maligni, ma a me sembra che portino gli incubi.

Volevamo anche fare un giro al cimitero, ma era chiuso.

port au prince

Lasciamo quest’oasi di pace e frescura, dove tre limonate ci son costate 9 euro, un’esagerazione per noi che abbiamo i soldi contati (ma ho approfittato anche di internet), per tornare nel casino e nella polvere.

16h45 Siamo nel parco principale di Port-au-Prince. Si sta bene ora: è un po’ più fresco, c’è una bella brezza che non sa di plastica (siamo a poche centinaia di metri dal mare, ma durante le ore centrali della giornata non si sente). Poco distante da noi c’è un gruppetto raccolto attorno ad un oratore, ogni tanto si esaltano ed applaudono. Dall’altra parte ci sono i bagni: se fai solo la pipì sono 5 gourde, se fai anche la cacca il costo per l’uso del gabinetto raddoppia. Ma qualcuno entra a controllare cos’è stato fatto?

Cacca o pipì?

23h Domani allora si riparte. Devo ammettere che anch’io sono un po’ provata da tutti questi giorni di lunghi viaggi, che non mi aspettavo di fare qui, e ho paura di quel che ci aspetta domani. 7 ore, sulla carta, per Cap Haitien. Un’orchestra in strada. Direi che è l’ora giusta per mettersi a suonare trombe e piatti e cantare in strada. Cosa staranno festeggiando? Non so e non mi posso informare, sono in camera, al terzo piano.

BRIVIDO stasera, mentre stavamo tornando verso Petionville. Erano le 6 e da un locale dove stavano ballando, parte “Un’estate italiana”; con i veri Bennato e Nannini (pensavo fosse un remake). Ho sempre amato questa canzone. Mi metto a cantarla mentre camminiamo, un po’ emozionata, rallentando il passo per gustarmela il più a lungo possibile, e mi viene incontro tra la folla un haitiano che canta pure lui ad alta voce. Pelle d’oca.

Bennato e Nannini a Port-au-Prince: