Ups and Downs in Stone Town

Ups and Downs in Stone Town

17 Giugno 2012

Tre voglie in particolare mi sono venute in questi ultimi giorni:

1. Cucinare. Non appena torno a casa accetto prenotazioni.

2. Andare a Sottomarina con i miei amici e la sera fermarci a mangiare la pizza a Chioggia.

3. Mettermi qualcosa di diverso da vestire. E’ un mese che metto le solite 3 magliette.

Sono le 15.38 e sono in camera, a Stone Town. Avevo bisogno di una pausa. Pensavo che Zanzibar sarebbe stata ancora più cara del resto della Tanzania, invece più o meno spendo gli stessi soldi. Per dormire ho pagato 20USD la prima notte, ma poi con la minaccia che avrei cambiato posto, il tipo mi ha abbassato il prezzo fino a 12USD. Ok. Bene. Ci sto dentro. Ieri sera ho speso 5000 Tsh per provare il polipo alla griglia ai Forodhani Gardens, dove tutti i turisti vanno a cenare almeno una volta quando sono qua, ma era troppo duro. Tornerò al mio riso da 1000 Tsh stasera. L’unica cosa che mi costa tanto è il caffè, se voglio quello macinato fresco: 3000 Tsh (1,5 euro).

Stone Town è un labirinto. Mi ricorda la medina di Fez. Se non hai qualcuno che ti accompagna, la prima volta è impossibile trovare l’albergo che cerchi. Anche la quinta in realtà. Per fortuna c’è sempre qualcuno disposto ad accompagnarti. E’ molto bella la città. Gli edifici sono un mix di stili, arabo, indiano, africano ed europeo. Nei corsi dei secoli da qui sono passate un sacco di persone, soprattutto mercanti, schiavi e marinai dell’Oceano Indiano (indiani e arabi). Da qui è partito David Livingstone per le sue esplorazioni dell’Africa e qui è nato Faroukh Bulsara, prima di diventare Freddy Mercury, ma non si sa dove di preciso. Mi piace questo mischiotto. Anche le persone sono un bel mix: ci sono neri nerissimi, e neri dai tratti arabi e indiani. E come nel resto della Tanzania convivono musulmani e cristiani. Un paio di settimane fa però qualcuno ha dato fuoco a 4 chiese, qua a Stone Town. Alcuni musulmani vogliono una Zanzibar indipendente e islamica. Non sono sicura che però un paese simile attirerebbe tutti questi turisti. L’ambasciata italiana a Dar Es Salaam mi aveva mandato un sms avvisandomi di evitare alcune zone di Stone Town (che non so neanche dove siano, probabilmente fuori dal centro turistico). Comunque ora è tranquillo, la polizia sta bene attenta a che non ci siano altri disordini.

L’unica scocciatura del camminare per la città è che tutti ti chiamano per venderti tours, il giro delle spezie, all’Isola della prigione (dove ci sono le tartarughe giganti), a vedere i delfini, o la barchetta al tramonto. Io non ho voglia di fare neanche uno di questi. Mi basta girare per le stradine, giocare a calcio con una bottiglia di plastica e un bimbo di 5 anni, guardare gli uomini che giocano a domino e che per farsi i segni battono le pedine sul tavolo in una maniera assordante, dividere le mie arance da 5 centesimi con i bambini, bere il caffè in strada dalla stessa tazzina usata un secondo prima da un altro cliente, dopo una veloce risciacquata nella solita bacinella (bello trovare il caffè così disponibile dappertutto, dopo un mese in cui dovevo cercare duramente per berne uno!).  

Stamattina ho fatto colazione con due koreane. Mi hanno detto che sono in viaggio per un mese. Ah bene, solo in Tanzania? Ho chiesto. Sìsì, mi risponde una. “Ma dai, delle koreane atipiche”, penso. E invece la sua amica subito la corregge “no no, un mese in Africa! Siamo state in Sud Africa, Namibia, Botswana, Zimbabwe, Malawi, Zambia e dopo la Tanzania andiamo in Kenya”. Ah ecco. Mi sembrava strano.

20h57

Sono da poco tornata in albergo. Ho passato le ultime due ore ai giardini con un rastaman. All’inizio mi ispirava simpatia, ma poi quando mi ha invitata ad andare dai delfini o dalle tartarughe giganti a “local prices” (cioè prezzi che pagherebbero la gente del posto, suoi amici, non i turisti), quando in realtà sono gli stessi prezzi che ho visto in giro finora, ho capito che voleva solo quello che vogliono tutti qua da un mzungo. Soldi. E in più mi ha presa per una sprovveduta, a quanto pare. Come se in due giorni che sono a Zanzibar non sapessi già quanto costa uno spice tour (tour delle spezie). E quando mi ha detto che qui scoprirò che la gente è molto più gentile e ospitale della gente della Tanganyika (ancora chiama la Tanzania continentale con il suo vecchio nome, dopo 48 anni che Tanganyika e Zanzibar si sono unite in un’unica repubblica), mi ha dato un po’ fastidio. Perché è vero che a Dar Es Salaam e Arusha non sarei uscita da sola di notte, mentre qui non mi spaventa, ma non mi può toccare la simpatia e spontaneità di tutti quelli che ho incontrato finora. Dice che non saranno un unico stato a lungo ancora, perché tutti vogliono la separazione. Tutti in Zanzibar forse. E’ nato musulmano, ma ora è metà rastafan o come si dice non lo so (e non so bene che tipo di religione sia; lui comunque lo fa perché così i turisti sanno che è un tipo tranquillo e gli chiedono da fumare). Mi ha raccontato di come qui sia stata costruita la prima chiesa in tutto l’Est Africa, non mi ricordo neanche in che anno, come a testimoniare quanto sono di mentalità aperta, pur essendo per il 98% musulmani. Volevo chiedergli il suo parere sulle chiese a cui hanno dato fuoco qualche settimana fa, ma non me ne ha dato l’occasione. Mmm… fastidio. Dice che mi posso sentire a casa mia. Beh, mi sentivo più a casa a Lindi o a Kilwa. Qui, soprattutto la zona dei giardini, mi sembra tutto un lavorarsi i turisti.

Poi mi sono infilata in mezzo alle viette dove mi son bevuta una tazza di latte caldo in compagnia di un vecchietto ed è tornato il sereno.