Cazzeggiando per i dintorni di Paraiso

Cazzeggiando per i dintorni di Paraiso

14 Marzo 2014

13.25

Siamo a San Rafael. Siamo venuti qui perché ce l’ha consigliato Giordano. Ci sono delle piscine naturali formate da un ruscello che scende dal monte verso il mare, hanno messo dei sassi insieme per formare dei muretti ed eccoci cinque belle piscinette dall’acqua gelida in mezzo alla valle, una sopra all’altra. Fanno comodo perché l’oceano è un po’ troppo agitato, però sono troppo fredde per starci dentro a lungo. E’ una cosa simile a quello che dovrebbe esserci a Los Patos, solo che lì in questo momento stanno facendo dei lavori. Attorno alle piscinette una serie di ristoranti/baracche e gente che si rilassa.

Abbiamo pranzato con un arancino di cereali con la carne e un fish&chips alla dominicana, con platano tagliato a fette, pestato e fritto, al posto delle patatine; molto buono. Mangiato con ansia, perché avevamo lasciato gli asciugamani dall’altra parte della piscina, ad un tavolino che fa parte di un altro ristorante; avevo paura che si accorgessero del nostro tradimento e ci nascondessero gli asciugamani.

E’ arrivata anche una scolaresca in gita. Saranno un centinaio di ragazzi. Tutti in jeans e maglietta bianca. Alcuni per distinguersi portano un berretto o una sciarpina di lana, oppure un gilettino.

15.00 circa
Stavamo partendo perché al sole faceva troppo caldo , invece ci siamo fermati a un tavolino qui in mezzo ai dominicani che bevono rum, si lavano con lo shampoo nelle piscine, si muovono al ritmo del merengue e ridono quando vedono qualche bianco che trova il coraggio di buttarsi in acqua.

16.05

Siamo in un Comedor a Los Patos a bere un caffé molto dolce lungo la strada (meglio rispettare le usanze locali). E’ passato da poco un gua-gua per Pedernales. Quindi domani siamo tranquilli che prima o poi un gua-gua che ci porti lì lo troveremo. Ma lo sapevamo già, perché sul gua-gua che da San Rafael portava qua, Luca ha avuto il coraggio di urlare “c’è un gua-gua che va a Pedernales?”; proprio così, senza neanche metterci qualche esse per rendere la frase più spagnoleggiante. Urlava perché lui era in terza fila e voleva chiedere all’autista; quest’ultimo non l’ha cagato proprio, ma hanno risposto un po’ di persone attorno a noi, che poi si sono messe a disquisire sulla questione Pedernales città o municipalidad o che altro.san rafael

Di fronte a noi, dall’altra parte della strada, ci sono alcune persone attorno ad un mucchietto di vestiti usati, in vendita sul marciapiede. Probabilmente i vestiti vengono da Pedernales, dove oggi che è venerdì si tiene il mercato internazionale (haitiano-dominicano), durante il quale si vendono anche i vestiti che ONU e ONG varie mandano ad Haiti per vestire chi non ha soldi e che invece chissà come finiscono in vendita per le strade dei due paesi.

18.43 Siamo tornati al Comedor dopo la doccia. Ci possono offrire lambi con platano fritto. Mi spiace non mangiare da Giordano, ma dovevamo risparmiare. Cena con vista mare.

Mi mancherà Los Patos, si sta proprio bene qui. Se, come dice Giordano, questa è la zona più bella della Repubblica, ci toccherà tornare. Luca sembra intenzionato ad andare ad Haiti. Più che altro perché l’alternativa è tornare a Barahona per la stessa strada; anzi, probabilmente fino a Santo Domingo, e la cosa non lo entusiasma. Ieri sera Giordano ci ha fatto trovare un pesce simile alla cernia, cotto nel latte di cocco, perché gli avevo detto che a me piace mangiare locale. Era buonissimo.

La signora del comedor in cui stiamo cenando ha la casa lungo la strada principale del paese ed ha pensato bene di sfruttare la posizione vantaggiosa per trasformarla in un ristorante. Ha messo due tavolini e sei sedie fuori dalla porta, prepara il cibo nella sua cucina e si mangia quel che mangiano loro. Stasera: lambi con platano fritto. Però si può scegliere: lambi normal o con vinagrette. Più buono il normal. Buonissimo addirittura! E il platano ha proprio il gusto delle patatine. Il lambi normal è cotto con peperoni piccoli verdi, cipolla e pomodori. Proprio buono. Penso che lo digerirò domani comunque.

Finita la cena, la signora molto gentile ha detto che possiamo stare qua un altro po’ a guardare la gente per la strada. Ottimo, il mio passatempo preferito.

Haiti sì o Haiti no?

Haiti sì o Haiti no?

13 Marzo 2014

12pm. Fatto il primo bagnetto nel Mar dei Caraibi. A Luca piace la spiaggia con i ciottoli perché non sopporta la sabbia che si ferma tra le dita dei piedi. Io non riesco a trovare una posizione sdraiata senza che un sasso mi trafigga un polmone o lo stomaco. Sono arrivati altri due occidentali che sono entrati in acqua ora. Faccio una fatica bestiale a camminare sui sassetti (Luca si stupisce perché dice che ho due solette sotto i piedi, abituata come sono a girare scalza); in più per uscire dall’acqua c’è una salitina di un metro circa, causata dalle onde che hanno depositato lì i sassi. Beh, non ce la faccio. Mi devo mettere a gattoni per spostare un po’ di peso sulle braccia. A Luca quest’immagine fa morire dal ridere. Vorrebbe farci un video. Ecco, mancherebbe solo questo: un video su youtube di me in costume che a quattro zampe cerco inutilmente di uscire dall’acqua.

13.30 Amelina, dagli occhioni neri dolcissimi, ci ha venduto per pochi centesimi un buon dolcetto fatto con noccioline e tanto zucchero. E’ uscito il sole. Sarà impossibile stare in spiaggia ora, quindi dopo pranzo ce ne andremo sulle sdraio attorno alla piscina dell’hotel.

los patos

Mega pranzo in spiaggia oggi: aragosta con banane fritte e un ottimo pesce fritto con riso e ceci. Ho paura a vedere il conto però. Degli altri bianchi si sono portati l’ombrellone, sono stati più intelligenti di noi. Amelina si è messa all’ombra con loro, nella speranza di poter racimolare qualche altro spicciolo. 950 RDS il conto. 16 euro. Neanche tanto dai.20140326-125349.jpg

14.07 Siamo alla piscina dell’albergo. Fa troppo caldo per stare in giro. Qui invece siamo all’ombra, con una brezza leggera, un cactus e una palma da una parte, dei banani dall’altra, come sottofondo i belati di una capretta, il pappagallo che chiama Gionatan (uno dei figli di Giordano) e ogni tanto un gallo.

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la piscina dell’Hotelito Oasi Italiana

18.00 Uff. Pausa. Esprite e Coca Cola. Siamo andati a vedere la piscina naturale alla fine del fiumiciattolo, ma era troppo all’ombra per buttarcisi dentro. L’oceano invece era troppo agitato e a me faceva paura (magari non mi spaventa la gente delle bidonville, ma dell’oceano non mi fido proprio).

natural pool in los patos

Allora siamo stati un po’ sulla spiaggia a decidere sul da farsi. Già Giordano quando gli abbiamo detto che volevamo andare ad Haiti ci ha guardati male e ha detto di lasciare perdere perché la capitale è pericolosa e l’intero paese è molto costoso (a me sembra già cara la Repubblica Dominicana, figuriamoci là!). Però non volevo crederci. Invece guardando la Lonely Planet sembra che in effetti sia un casino. Intanto per andare da Pedernales, che è a Sud-Est, verso Jacmel, che è sempre a Sud, sembra si debba passare per forza per Port-au-Prince, che è a Nord di Jacmel, a tre ore di distanza circa. Boh, forse per una volta la LP non è molto d’aiuto. E di alberghi a 40 USD ce ne sono gran pochi. A Port Salut, a ovest di Jacmel, dove sembra ci siano delle spiagge bellissime, gli hotel hanno dei prezzi improponibili. E allora mi passa la voglia di andarci. Tanto in Repubblica Dominicana ce ne sono di cose da vedere in 6 settimane, tra spiagge, parchi naturali e paesetti. Boh, vediamo. Cerchiamo un po’ in internet e chiediamo quando siamo a Pedernales.

casetta tipica della Repubblica Dominicana

20h14 E’ arrivato un altro veronese. E’ volontario in una missione vicino a Port-au-Prince per un mese e mezzo. Dice che gli haitiani odiano proprio i bianchi. Magari davanti ti sorridono perché hanno bisogno della tua mancia o altro, poi ti darebbero una coltellata. E poi non hanno voglia di lavorare. Appena ti giri si mettono seduti, bisogna sempre tenerli d’occhio. Secondo me è anche colpa di tutte le attività di cooperazione che ci sono nel paese: sono abituati a ricevere da mangiare senza bisogno di far niente. “Mori i xè”, dice Luca semplicemente. Sì, anche qui in Repubblica Dominicana son neri e non si ammazzano di lavoro come i veneti, ma qual è il modo giusto di vivere? Comunque quest’altro veronese mi ha confermato quel che già pensavo da un po’ di tempo: l’industria degli aiuti umanitari, la chiama lui, una magneria. Dei miliardi di dollari che sono stati raccolti negli Stati Uniti dopo il terremoto, solo il 3% è stato usato sul territorio (dati non verificati). Il resto si è perso nelle varie organizzazioni, tra spese amministrative, stipendi vari, veicoli super costosi, ecc. Sta roba mi fa venire una rabbia spaventosa! E pensare che qualche anno fa avrei voluto lavorare in questo settore! Resto convinta che il modo migliore per aiutare i paesi più poveri sia smettere di sfruttare le loro risorse e permettere loro di spostarsi all’estero, se c’è domanda di lavoro.

barchetta a los patos, repubblica dominicana

Ragazzini su una barca a Los Patos

Comunque anche lui sconsiglia di andare ad Haiti, che è un casino. Essendo dei morenti di fame assalgono i turisti in ogni dove, ché uno straniero ha sempre dei soldi con sé, per quanto pochi; poco tempo fa a Port-au-Prince hanno sparato a una coppia che usciva da una banca e non avevano neanche soldi con loro; devi stare sempre all’erta, etc. E poi l’ultima novità è che sembra che da Ainse-a-Pitre (il paesetto appena dopo il confine vicino a Pedernales) si debba salire su un barcone che viaggia di notte per arrivare a Jacmel, tipo la barchetta di legno dei pescatori, solo un po’ più grande, che una volta uno è anche affondato e ci son stati dei morti. Ops, com’è che all’improvviso mi è venuto un formicolio e una gran voglia di andarci?

Dei clienti chiamano Giordano: si è rotta la macchina e son bloccati per strada. Lui si fa passare il fucile dal suo cameriere/aiutante/servo/tuttofare, sale sulla jeep e va a prenderli. Sono le 9.30 di sera e lui non va da nessuna parte senza arma, perché qui è sicuro, ma meglio essere previdenti.

Un’oasi italiana

Un’oasi italiana

12 Marzo 2014

16h49 Eccoci all’Hotelito Oasi Italiana di Los Patos, Paraiso. Ci resteremo almeno tre giorni per riprenderci. L’Hotelito è di nome e di fatto un’oasi di pace e tranquillità. Il proprietario è di Verona. La Lonely Planet raccomanda questo posto per il cibo; a me non interessa proprio mangiare italiano, ma il posto è veramente carino. Con una piscina, due pappagalli e due coniglietti. Le colline da queste parti arrivano fino al mare, la strada che lo costeggia è tutto un saliscendi e con i gua-gua che cadono a pezzi è una fortuna ogni volta arrivare a destinazione (infatti per strada abbiamo incontrato un gua-gua fermo con i passeggeri seduti all’ombra ad aspettare).

La gente mi sorprende in continuazione. Abbiamo pagato per venire fin qui 100RD$ (1,7 euro circa), da Barahona, tanto quanto hanno pagato quelli che si sono fermati a Paraiso, un paio di chilometri più a nord. E come se non bastasse ci hanno portati fin dentro all’hotel, che è un po’ su per la collina!

Uno dei due pappagalli si agita quando arrivano degli ospiti. Ora si è calmato e gira tranquillo tra di noi.

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Il proprietario dell’hotel si chiama Giordano Mettifogo, viene da Verona ma la sua famiglia discende da Arzignano :). E’ qui da 13 anni e ormai fa fatica a parlare italiano (cioè, lui probabilmente è convinto di parlare un italiano pulito, in realtà a volte neanche si capisce da quanto è mischiato con lo spagnolo). Mi ha confermato che sono bouganville le piante bellissime che si vedono in giro. Da noi sono tanto delicate (dice lui, non me ne intendo), mentre qui basta tagliare un ramo, tenerlo nell’acqua finché fa le radici e poi metterlo nella terra e questo cresce.

Luca è proprio contento. Dice che arrivare fin qui è stata un’avventura. Ah ah, poverino, ancora non sa cos’è una vera avventura.

18h56 Iniziata ufficialmente la “dieta da viaggio”. Anche oggi un solo pasto sostanzioso (che dobbiamo ancora fare) oltre alla colazione (in realtà ne abbiamo fatte due di colazioni: in albergo con due fette di pane tostato e, dopo che siamo riusciti a prelevare, per festeggiare ci siamo concessi un cappuccino, una empanada con il formaggio -cioè un minuscolo pezzetto di sottiletta gialla, dello stesso tipo che ci avevano dato all’albergo da mettere sul toast- e un dolcetto bianco che non so cosa fosse).

Siamo in spiaggia. Si sta benissimo. Il sole è calato dietro di noi e si vede la luna. Quando si farà buio mi porterà a mangiare sto uomo, o ancora no???

Abbiamo chiesto a Giordano se c’è la malaria. No no, solo la dengue. An bon, allora….

19h56 Siamo al ristorante dell’hotelito. Abbiamo deciso di trattarci bene per un paio di giorni. Stasera lamb e dorado; il primo un mollusco che si trova dentro una conchiglia gigante, servito con polenta (adattamento veronese), l’altro un filetto di pesce al vino bianco. Per aperitivo un paio di caipirinha, se riusciranno a portarcele al tavolo giusto (ci sono tre francesi al tavolo di fianco che quando si son visti arrivare sti bicchieri con l’erba dentro prima li hanno assaggiati, poi capito che non era roba che avevano ordinato loro, ce li hanno passati; boh). E per domani a pranzo abbiamo ordinato una langoste (aragosta) da mangiare sotto un tendone in spiaggia. A 500 RD$ (8.50 euro circa) a libbra (450 gr.). Le aragoste sono vietate però nel periodo dell’accoppiamento.

Caipirinha per iniziare e sorbetto per finire. C’è un tipo che vende gioielli in Larimar, una pietra per cui la Repubblica è conosciuta, insieme all’ambra. Ha esposto tutti i suoi prodotti solo per me proprio qui sotto. La cosa mi mette un po’ ansia.

Giordano ci racconta un po’ la sua storia. E’ venuto qua in vacanza varie volte. Una quindicina d’anni fa una cliente (credo facesse il fotografo di professione) gli ha proposto di prendere in affitto una casa di cui era proprietaria a Los Patos; lui ci è venuto e non se n’è più andato. Ci ha sconsigliato di andare ad Haiti. Dice che Port Au Prince è pericolosa e che tutta Haiti costa una follia a causa dei molti cooperanti che vi lavorano e girano per farsi vacanzine di qua e di là.

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Mantenere il suo albergo gli costa 2.5000 RD$ (circa 40 euro) al giorno, e da quando stanno facendo i lavori al fiume che crea una piscina naturale per la quale è tanto famoso Los Patos, si vedono molti meno clienti. Un negozio locale è passato da 2 quintali a 20 kg di riso al mese venduti. 15 famiglie che affittavano cabanas sul laghetto e vivevano di quello, si sono ritrovate senza niente (non c’è la cultura del risparmio, quel che si guadagna si spende, quindi non avevano niente da parte per questi mesi di inattività). Il governo dice che i lavori dovrebbero essere finiti per la Settimana Santa, quando arrivano i turisti americani, ma lui dubita.

Il nuovo presidente della Repubblica Dominicana, Danilo Medina, è del Sud, ci dice Giordano, e la gente del posto ripone molta fiducia in lui. Ha promesso che costruirà una strada che collega direttamente il nord alla zona di Paraiso. In effetti sarebbe un bene, perché qui per andare da qualsiasi parte bisogna tornare a Santo Domingo, che è a 4-5 ore di gua-gua. C’è l’altopiano però, tra le due coste. Mi sa che ci vorranno anni prima di vedere sta strada…