La Haiti bene

La Haiti bene

Giovedì 20 Marzo

8.15 Stiamo facendo colazione: un ottimo caffè (del resto quest’isola lo produce), due uova e due pezzi di pane su cui spalmare il formaggino. Stiamo facendo colazione in giardino in compagnia di tre galli, due galline e un galletto, tre caprette nane, due cani di cui una femmina super coccolona e super affamata, un colibrì e tanti bei fiori fucsia. Tutti che girano liberamente qua intorno. Sotto la capannina dove facciamo colazione stanno seccando delle foglie di tabacco. Il proprietario parla un ottimo francese, a differenza di sua moglie che mi parla in creolo e mi sorride. Non so se pensa che io capisca il creolo o se è convinta di parlare francese. Vediamo se oggi riusciamo ad andare all’Ile-a-Vache.

14.00 La ragazza seduta vicino a me sul tap-tap si è messa il lucidalabbra e ora si sta pettinando i capelli con una spazzola per lavare per terra. Ha un sacchettino con dentro un fiore di plastica a cui sembra tenere molto. Il bello del passare tanto tempo per strada è che si notano fatti interessanti. Per esempio siamo passati davanti a vari muretti con su scritti nomi di hotel, e dietro i muretti niente, solo qualche mattone, come se stessero già pubblicizzando un hotel che finiranno di costruire fra qualche anno. Si vede la gente che lavora, chi aggiusta auto, chi lavora il legno o il ferro, chi rammenda vestiti; dentro le mura fa troppo caldo, così si mettono in strada a fare qualsiasi lavoro, dal cucinare al preparare il carbone. A volte vicino alle case ci sono delle tombe dai bei colori pastello. Quasi tutte le case, anche le più povere, hanno la parete dipinta. Al singolare, perché è solo la parete rivolta verso la strada che viene dipinta, le altre rimangono grige. Son più sfortunati quindi gli edifici agli incroci, ne devono dipingere ben due di pareti!

Una capretta si lamenta e l’altra ci tira i sassi in testa, mentre aspettiamo che riparino il tap-tap, sulla strada per tornare a Port Salut da Les Cayes. Ci siamo messi all’ombra di alcune palme di cocco, speriamo non ci caschino in testa! I furgoncini UNICEF, UN, UN Police ecc. che continuano a passare cominciano a darmi fastidio.

La nostra spedizione a Les Cayes è stata un mezzo fallimento. Appena arrivati abbiamo cercato di prelevare dei soldi. La prima banca non aveva né bancomat né anticipo contanti. Moto-taxi per farci portare da un’altra parte. La seconda banca aveva un bancomat, non funzionante, ma niente anticipo contanti. La terza banca non aveva un bancomat ma ci ha fatto l’anticipo contanti in pochi minuti. Il casino del mercato mi ha un po’ spaventata e si era fatto di nuovo troppo tardi per andare all’Ile-a-Vache, quindi siamo tornati a Port Salut.

16.30 Siamo in un auberge di lusso, a bere qualcosa e ad approfittare di internet per salutare a casa e far sapere che ci siamo. Il proprietario, un francese che però ha vissuto in Francia solo i suoi primi 17 anni e il resto della vita in giro per le isole (ne avrà 65 di anni ora all’incirca), vive qui da 18 anni, 14 fissi. Doveva fermarsi a vivere in Cile e aveva detto alla moglie “Facciamoci l’ultimo viaggio”. Son venuti qui e non se ne sono più andati. Port Salut comunque, ama precisare, non Haiti. Dice che si vive troppo bene, che è tranquillo, sicuro, che non ha guardiani né all’hotel né al magazzino di materiali da costruzione che ha qui vicino. Possiede 8.000 mq attorno all’hotel e altri 20.000 più in su, dove si è costruito due casette, il magazzino e due appartamenti. Ha 46 dipendenti e sono tutti come suoi figli. Auberge du Rayon Vert, si chiama. A quanto pare gli haitiani ricchi ci sono, e amano spendere i loro soldi. E lui ne fa molti con loro. Poi ci sono anche molti canadesi, americani e svizzeri. In più collabora con varie ambasciate ecc. Qui ha investito non so quanti milioni di dollari, e in Repubblica Dominicana non investirebbe 5 euro, dice. Sì, ci sono difficoltà tecniche (l’elettricità che spesso manca, l’acqua difficile da reperire, per es.), ma per il resto è molto più semplice che in Europa. Ha messo del marmo sul pavimento del ristorante. Che vita che si fa sto qua. Può starsene al bar del suo hotel a leggere o lavorare con il mare di fronte. Certo, probabilmente si è sbattuto non poco per arrivare fin qua. Ha messo delle sdraio in spiaggia, mai viste prima. Chiude a chiave il cancello che dà direttamente all’entrata del bar, ma poi il cancello del parcheggio è aperto. Mi ha fatto fare da intermediaria. Ha voluto che dicessi a Luca (che non parla francese) che qui si può fare di tutto. Si può bere, con moderazione, e guidare; la polizia ti ferma, se vede che hai la bottiglietta di rum lì davanti controlla che tu non sia messo male, e ti dice di fare attenzione e basta. Luca poi mi ha detto che mentre io ero girata da un’altra parte ed è arrivata una fustona nera con un bianco, lui gli ha fatto un gestaccio per fargli capire quanto ritenesse bona la ragazza. Forse non si riferiva solo all’alcool quando diceva che si può far tutto.

Port Salut beach bar

9 della sera. Con le PRESTIGE in spiaggia. In Rep. Dom. la birra nazionale è la Presidente, qui la Prestige. Bene. Piacere di conoscerti Prestige cara. Siamo noi e un’altra coppia. Mi piace. Poca luce, perché non c’è l’elettricità. E inizia a piovere anche. Questa baracchetta sulla spiaggia che serve pollo, pesce fritto e lambi ha tre tavolini sgangherati e quattro sedie di plastica. La birra non è neanche tanto fresca (il congelatore, comprato che già non funzionava più, non serve per tenere le cose al freddo, ma giusto per isolarle dalla calura esterna), ma l’atmosfera rilassata e alla buona fa pari con tutto.