Viaggio zaino in spalla in Repubblica Dominicana e Haiti

Viaggio zaino in spalla in Repubblica Dominicana e Haiti

Itinerario di 40 giorni da Santo Domingo a Port au Prince e ritorno

Nel 2014 ho viaggiato con il mio ragazzo nella Repubblica Dominicana e Haiti, zaino in spalla e mezzi pubblici. Come al solito abbiamo lasciato l’Italia senza avere un itinerario preciso in mente, decisi a farci guidare dalle nostre sensazioni lungo la strada.

Siamo arrivati a Santo Domingo dopo un lungo viaggio con una pausa di molte ore a New York, un volo lungo che ci ha fatto risparmiare un po’ di soldi ma ci ha anche stremati.

Santo Domingo è la capitale della repubblica, una bella città con architettura coloniale interessante. Può anche spaventare in alcune aree, in particolare attorno al Parque Enriquillo, dove partono gli autobus che girano per il paese. Luca era un po’ scosso il primo giorno, prima di allora aveva girato solo in Europa, non era abituato al caos e al traffico disordinato e pericoloso.

Santo Domingo

Da Santo Domingo abbiamo deciso di andare a sud-ovest, vicino alla costa. Los Patos era descritta dalla Lonely Planet come la migliore spiaggia del sud. Quindi ci siamo andati, perché volevamo vedere zone diverse del paese. E in effetti si stava bene. C’erano pochissimi turisti stranieri, molti turisti locali, quindi la destinazione ideale per chi cerca questo, mentre nel nord ci sono molti più turisti internazionali ed è forse un po’ meno autentico.

Dopo Los Patos siamo andati a Pedernales, vicino al confine con Haiti. Da lì abbiamo fatto una gita a Bahia de Las Aguilas, un parco naturale con una delle spiagge più belle in cui sono stata, raggiungibile solo in barca. Eravamo vicino ad Haiti, ma ancora non avevamo deciso se passare il confine o no. Tutti quelli con cui parlavamo sconsigliavano di andarci, perché era pericolosa e cara. Probabilmente è stato proprio questo a convincerci ad andare. E la vera avventura iniziò.

baia delle aquile
Baia delle Aquile

Il viaggio avventuroso ad Haiti

Appena dopo il confine abbiamo dovuto passare la notte su una barca per arrivare al primo paese haitiano, perché andare via terra avrebbe richiesto qualche giornata.

La prima tappa ad Haiti fu Jacmel, una cittadina di artisti molto carina sulla costa sud, che portava ancora i segni del disastroso terremoto del 2010.

Qui abbiamo avuto un anticipo di come sarebbe stato viaggiare ad Haiti: sporco, caotico, quasi impossibile prelevare soldi.

ainse-à-pitre
This is how we were going to travel in Haiti

Da Jacmel abbiamo preso un tap-tap per Port au Prince e da lì direttamente a Port Salut. Fu il primo dei molti lunghi viaggi che avremmo dovuto affrontare ad Haiti. Usare i mezzi pubblici non è facile ad Haiti. Ogni volta impiegavamo moltissime ore per fare qualche centinaio di chilometri. E’ probabilmente il lato peggiore del viaggiare zaino in spalla ad Haiti, perché si perde un sacco di tempo e ci si stanca molto.

Port Salut è un luogo di villeggiatura carino, calmo e rilassato. Da qui siamo andati a Les Cayes in giornata, con l’idea di fare un salto anche all’Ile de Vache, ma i ritardi causati dai trasporti e dalla ricerca di un bancomat ce l’hanno impedito.

Dopo Port Salut siamo saliti a Port au Prince, la capitale. Il primo impatto non è stato dei migliori, in quanto appena arrivati un ragazzo ha cercato di rubare dalle nostre tasche e dallo zaino. Il centro di Port au Prince non è male, a parte il caldo e la polvere, ma appena fuori dalle strade e piazza principali è un casino e per niente rassicurante. Comunque abbiamo visto un po’ di arte Vudù, che era il motivo principale per cui volevo venire ad Haiti.

Da Port au Prince un altro luuuungo e pauroso viaggio fino a Cap Haitien. Cap Haitien sarebbe anche carina e pulita, molto diversa dalla capitale, pur essendo una città grande. Ma questo nel centro, appena fuori c’è un canale pieno di rifiuti, un gran brutto vedere.

Coming out of school in Cap Haitien

Da Cap Haitien abbiamo passato la frontiera per tornare in Repubblica Dominicana (quindi praticamente siamo entrati ad Haiti da sud e usciti da nord; c’è un altro passaggio al centro, lungo una strada che collega le due capitali, se non sbaglio).

Un viaggio zaino in spalla molto più facile in Repubblica Dominicana

Che bella sensazione essere di nuovo in Repubblica Dominicana! Ci siamo resi conto di quanto sia stato difficile viaggiare ad Haiti. La Rep Dom è molto più economica, è molto più facile girare, cibo e caffè sono disponibili praticamente ovunque, si può prelevare denaro da qualsiasi bancomat, gli hotel sono puliti. Ora, qualche anno più tardi, sono felice di quella esperienza ad Haiti, ma non so se riuscirei a rifarla, è stato veramente stancante. Probabilmente è più semplice se hai soldi e puoi noleggiare un’auto o un autista. Cap Haitien comunque è stato il posto più carino.

Arrivati in Repubblica Dominicana abbiamo passato alcuni giorni a Monte Cristi, per riprenderci e rifocillarci. Da qui siamo poi andati a Santiago e Constanza, sulle montagne.

Dopodiché solo spiagge. Ed ogni posto è stato piacevole e accogliente.

La prima spiaggia è stata a Cabarete, un posto per amanti del surf. Era il primo posto dove incontravamo tanti turisti stranieri; tutta la costa nord ha molti turisti stranieri, in particolare dagli Stati Uniti (e anche molti italiani e francesi che si sono trasferiti lì dopo la pensione). A Cabarete ho mangiato la miglior colazione della mia vita.

rio san juan
Beach in Rio San Juan

Siamo andati ad ovest fino a Rio San Juan, dove non c’è molto da fare o da vedere, ma che ho amato, forse proprio per la sua atmosfera rilassata. Dopodiché siamo passati alla penisola di Samanà, con Las Terrenas e Las Galeras. Carino, molto turistico.

Da qui abbiamo attraversato il paese e siamo passati alla costa sud. Avevamo valutato l’opzione di stare un paio di giorni in uno dei resort full inclusive della costa est, pagare 80 dollari al giorno per prendere il sole e abbuffarci (si mangia molto pollo in Repubblica Dominicana, a un certo punto hai proprio voglia di qualcosa di diverso), ma non ci era rimasto molto tempo e così siamo andati direttamente a sud.

Boca de Yuma è carina ma Luca non si sentiva molto bene (anzi, proprio male, mi ha spaventata), quindi non ce la siamo goduta tanto. Da lì a Juan Dolio, ultima tappa. Siamo stati in questo paesino lungo il mare fino al volo di ritorno e abbiamo fatto una gita di una giornata a Santo Domingo, dove si celebrava la Pasqua. Quanto siamo arrivati in Repubblica Dominicana non ci siamo fermati a lungo a Santo Domingo perché pensavamo di tornarci prima della partenza. Invece quando siamo stati a Juan Dolio ci hanno consigliato di rimanere lì a dormire e di fare solo una gita a Santo Domingo. E non è stata una brutta idea.

Ripeterei questo viaggio tra Repubblicana Dominicana e Haiti? Sì, e probabilmente rifarei un itinerario simile. So che Haiti è stato un incubo, ma vorrei vedere se è cambiata la situazione. Gli Haitiani non meritano di vivere così.

Piedi neri a Port-au-Prince

Piedi neri a Port-au-Prince

23 marzo 2014

Petionville, 11h17

Sembra quasi di stare in America. Ci sono molti “blancs”, edifici più alti di un piano, supermercati su due piani, negozi di vestiti e addirittura bancomat che funzionano! Abbiamo fatto colazione alla patisserie francaise del supermercato. Una pasta e un caffè che ci son costati più che in Italia, ma ce li siamo meritati!

patisserie francaise port au prince

La pasticceria del supermercato

Qui a Petionville si gira veramente tranquilli. E’ la zona dove vivono gli expats (stranieri trasferitisi qui) e gli haitiani più agiati. E’ anche la zona dove ci sono gli hotel più decenti. Ora vediamo com’è giù in paese 🙂

Petionville – vendita al dettaglio

15h30 Hotel Oloffson. Siamo qui a riprenderci dopo la lunga camminata in giro per PAP. Più che altro fa caldissimo e abbiamo i piedi pieni di polvere. L’Oloffson è un’istituzione a Port-au-Prince, un hotel antico in stile gingerbread (pan di zenzero). E’ fuori dalla nostra portata, per pernottarci, ma per una bibita e riprendere fiato ci sta. All’interno ha un murales bellissimo e una zona dove suonano i gruppi. All’esterno è tutto bianco, con dei tavolini sulla veranda e un bel giardino con piscina attorno.

Abbiamo fatto un bel giro finora. Abbiamo preso il tap-tap che ci ha portati fino alla città. Siamo stati a vedere i resti della cattedrale, dove in mezzo ai ruderi stavano facendo una cerimonia.

Notre Dame Cathedral in Port au Prince

Rovine della cattedrale di Notre Dame a Port au Prince

Per arrivare al Marché de Fer, l’antico mercato, meno incasinato di quello di Jacmel, ci siamo persi per una zona poco rassicurante – beh, tutta PAP appena fuori dalle strade attorno alla piazza principale è poco rassicurante. Al Marché de Fer vendevano tante scarpe e cosmetici, capelli finti e tartarughe vere, bamboline per il vudù, yoghurt lasciati a fermentare al sole, ricambi per le automobili (gomme termiche, pezzi di motore, ecc.). Oltre alla parte coperta del mercato, dentro due edifici speculari dal tetto di ferro, ci sono migliaia di banchi (o semplicemente scatole accatastate sulla strada) anche nelle strade circostanti, con dei teli a proteggere dal sole i venditori appisolati tra le proprie merci; e per arrivare alla parte coperta si passa per forza sotto a questi teli, piegati a metà perché sono ad appena un metro e mezzo da terra.

Lasciato il mercato abbiamo camminato verso sud lungo il Boulevard Jean-Jacque Dessalines, una delle arterie principali di Port-au-Prince. Lungo la strada si vedevano meccanici al lavoro, gommisti, venditori di tutti i tipi (bibite, cosmetici, tavole e sedie). Comunque abbastanza tranquillo, a parte il caldo e lo sporco. E’ un’altra cosa passeggiare in pieno giorno senza zaini attorno.

Autista/meccanico al lavoro lungo Boulevard Jean-Jacque Dessalines

Siamo stati a vedere il centro degli artisti di strada con le loro opere vudù. “Perché fanno tutte paura?” Chiedo ad André Eugéne, il fondatore/maestro del centro. “Ma quali ti fanno paura?” mi chiede lui, come se fossero tutte opere normali da esporre in casa, come se un ciccio bello trafitto allo stomaco o un pupazzo con dei paletti negli occhi fossero dei simpatici soprammobili. Queste creazioni dovrebbero tenere lontani gli spiriti maligni, ma a me sembra che portino gli incubi.

Volevamo anche fare un giro al cimitero, ma era chiuso.

port au prince

Lasciamo quest’oasi di pace e frescura, dove tre limonate ci son costate 9 euro, un’esagerazione per noi che abbiamo i soldi contati (ma ho approfittato anche di internet), per tornare nel casino e nella polvere.

16h45 Siamo nel parco principale di Port-au-Prince. Si sta bene ora: è un po’ più fresco, c’è una bella brezza che non sa di plastica (siamo a poche centinaia di metri dal mare, ma durante le ore centrali della giornata non si sente). Poco distante da noi c’è un gruppetto raccolto attorno ad un oratore, ogni tanto si esaltano ed applaudono. Dall’altra parte ci sono i bagni: se fai solo la pipì sono 5 gourde, se fai anche la cacca il costo per l’uso del gabinetto raddoppia. Ma qualcuno entra a controllare cos’è stato fatto?

Cacca o pipì?

23h Domani allora si riparte. Devo ammettere che anch’io sono un po’ provata da tutti questi giorni di lunghi viaggi, che non mi aspettavo di fare qui, e ho paura di quel che ci aspetta domani. 7 ore, sulla carta, per Cap Haitien. Un’orchestra in strada. Direi che è l’ora giusta per mettersi a suonare trombe e piatti e cantare in strada. Cosa staranno festeggiando? Non so e non mi posso informare, sono in camera, al terzo piano.

BRIVIDO stasera, mentre stavamo tornando verso Petionville. Erano le 6 e da un locale dove stavano ballando, parte “Un’estate italiana”; con i veri Bennato e Nannini (pensavo fosse un remake). Ho sempre amato questa canzone. Mi metto a cantarla mentre camminiamo, un po’ emozionata, rallentando il passo per gustarmela il più a lungo possibile, e mi viene incontro tra la folla un haitiano che canta pure lui ad alta voce. Pelle d’oca.

Bennato e Nannini a Port-au-Prince:

Un giorno ordinario a Port Salut

Un giorno ordinario a Port Salut

21 Marzo 2014

8.48 Siamo stati svegliati da due cani che litigavano per una femmina, galli in festa, e il proprietario che si offre di portarci a Les Cayes. Rifiutiamo perché ormai abbiamo rinunciato all’Ile de Vache, facciamo una pausa e ci riposiamo qui. Mentre facciamo colazione tre cani dormono attorno a noi. Fino a qualche minuto fa uno dei maschietti era pronto con il pisellino fuori, ma la femmina proprio non ne voleva sapere. Ha insistito tanto, ma alla fine si è arreso e si è messo a dormire anche lui.

6.46pm Cena in spiaggia. Una porzione solo, che dividiamo tra noi, perché costa 500 HTG. Vero che oggi abbiamo speso solo 25 per mangiare (degli spiedini alla brace presi per strada), ma ne abbiamo spesi 200 per bere! Buona la Prestige, anche se non ghiacciata. L’hanno presa da un freezer, che anche se funzionasse non servirebbe a molto, visto che non c’è corrente in paese (e tantomeno in spiaggia) in questo momento. Poco fa il cane stava ancora seguendo la femmina, che gli rispondeva abbaiando, ma lui stavolta non molla, sembra stia miagolando, ma le sta sempre dietro.

Oltre a noi c’è una coppietta di innamorati. Probabilmente sono in vacanza qui. Port salut è uno dei principali centri vacanzieri di Haiti. Perché non c’è solo chi muore di fame. Ci sono anche ricconi (che però stanno negli hotel di lusso, non nelle stamberghe come noi) e membri della borghesia medio-alta, che si possono permettere hotel da 100 euro a notte e birre da 3 euro. Poi si passa ai morti di fame.

Oggi siamo stati sempre qui intorno, abbiamo camminato lungo la strada principale di Port Salut che segue la costa (lungo la spiaggia non è possibile, ci sono parti rocciose dove camminare è pericoloso e molte zone comunque sono private, di proprietà di hotel e abitazioni, chiuse al passaggio) e stasera ultimo bagnetto nel Mar dei Caraibi.

Ripensavo al viaggio che abbiamo fatto per venire qui. Viaggiando in autobus o in questi taxi comuni si riescono a rubare momenti di vita, anche perché qui la stessa si svolge principalmente all’esterno, non dentro le mura domestiche. Dal cassone del pick-up si vede chi lavora il legno, chi il ferro, chi prepara la carbonella, chi lavora gli orti, chi raccoglie banane. E alla fine si ritrovano tutti al mercato.

Avvistamenti lungo la strada a Port Salut

Quando torno a casa voglio cucinare pollo con riso e pesce con il latte di cocco. A Port Au Prince vive un decimo degli Haitiani e la città continua a crescere. Non capisco perché. In provincia magari non sono ricchi, ma perlomeno hanno qualcosa da mangiare e vivono una vita dignitosa. Probabilmente molti si trasferiscono nella capitale nella speranza di fare soldi, ma pochi ci riescono. Molti finiscono nelle bidonville, a vivere nelle baracche di cartone o di amianto, senza finestre e circondati dai propri rifiuti, organici e non, e passano il tempo mendicando per le strade. Il Sud di Haiti invece è bellissimo. La vegetazione è lussureggiante e il sole fa risplendere il verde smeraldo delle palme. Sulle colline il tap tap o la camionette (i pick-up pubblici) si ferma a far scendere o salire la gente; non si vedono case, ma tra una pianta e l’altra sbuca un sentierino che sale ripido su per la collina. La maggior parte della gente vive senza automobile. Se si devono spostare aspettano anche per ore che passi un mezzo o che lo stesso sia pieno e pronto a partire. Perdono anche un’intera giornata per fare 200 km. E’ uno stile di vita completamente diverso dal nostro, ma al quale non farei fatica ad adattarmi, credo. Certo, se hai un’urgenza è un casino. Ci sono le moto-taxi, ma sono utili fino a un certo punto. Nessuno ha un libro con cui passare il tempo comunque. Quando aspettano o chiacchierano tra di loro o stanno lì a pensare e a guardarsi attorno. Sulle camionette se qualcuno si aggiunge che sono già stretti che non ci sta uno spillo, magari si incazzano perché il nuovo arrivato spinge di qua e di là per farsi spazio, ma dopo un minuto chiacchierano tutti insieme.

Abbiamo diviso le ossa del pollo (super buono!) tra due cani e poi ho visto che c’era anche un cucciolo qui dietro. No! Poverino! Lui non ha mangiato! Prenderei un altro pollo solo per dare le ossa a lui.

8 pm Siamo andati via dalla spiaggia perché mi faceva male vedere quel povero cucciolo che non poteva mangiare perché quelli più adulti probabilmente gli hanno insegnato (non con le buone di sicuro) di stare alla larga. Qui alla guesthouse c’è musica stasera. Vogliamo informarli che andremo via presto domattina.

Fa arrabbiare che i governi scoraggino le visite ad Haiti, perché è vero che le città più grandi magari fanno un po’ paura, ma appena si esce e si va nei paesi più piccoli è un paradiso. Qui il mare non è bello come a Las Aguilas, probabilmente perché è mosso e alza la sabbia, ma comunque merita. A Nord di Haiti c’è l’Oceano Atlantico, probabilmente sarà più freddo del mare caraibico trovato qui.

Una gallinella si è appollaiata sulla sedia a sdraio e il cucciolo di cane sulla sua brandina personale (ho visto solo lui finora lì sopra). Pensavo che se mi trasferissi qui probabilmente non troverei tanto facilmente l’antipulci per i gatti.

In questo paese c’è il grave problema dell’acqua potabile e quello dell’elettricità. Ci sono spesso black out e alcune case (ma soprattutto guesthouse e hotel) hanno i generatori. Ieri sera per esempio abbiamo dovuto aspettare fino alle 7.30 che attaccassero il generatore per farci la doccia: perché fino a quell’ora c’è abbastanza luce, quindi non è indispensabile e non attaccano il generatore, ma in bagno non ci si vedeva proprio. Di giorno la corrente non c’è proprio, inutile lasciare cellulari sotto carica (probabilmente negli hotel più chic la situazione è diversa).

Stasera abbiamo mangiato anche l’insalata e i pomodori, speriamo di non pentircene!

Il landlord ci ha detto che è più facile trovare una camionette alle 5-5.30. Quindi questa sarà la nostra sveglia domattina. Ci lascerà il cancello principale aperto. Ok, si può fare. In Tanzania capitava ben più spesso di qua.

La femmina dalle tette scure si è messa a dormire tra noi. Bello come questi cani cercano la compagnia degli uomini. Più che randagi sembrano cani di tutti. Di qua girano i soliti quattro, che però si vedono anche attorno ad altre case. In spiaggia ce n’erano altri ancora.

Mentre venivamo qui da PAP, poco prima di Les Cayes, ci siamo fermati a far scendere un tipo e il suo frigorifero scassato (che stava sul tetto). Mi chiedevo cosa se ne facesse, e qui l’ho capito: ovunque si vedono vecchi frigoriferi e freezer staccati dalla corrente, che servono per tenere le bibite e il latte isolati dalla calura esterna. Magari non saranno freschi, ma meno caldi sì.

“Vous voulez pas boire une bière avec nous?” ci ha chiesto il landlord. Gli abbiamo detto che stavamo per andare a dormire. Ok. Il ragazzino comunque ci ha portato birra e sprite e ci hanno lasciati qui a bere. Da soli. Boh. Vabbè, apprezzato comunque.

Primi disagi ad Haiti

Primi disagi ad Haiti

19 Marzo 2014

7.02 del mattino. E’ da mezz’ora che aspettiamo che ci preparino la colazione, ma la prima “dipendente” è arrivata 10 minuti fa. Di notte c’eravamo solo noi qui dentro mi sa. Eppure ieri sera avevamo avvisato la ragazza che dovevamo partire presto. La stessa ragazza che ieri alle 6 era già qui. Proprio oggi si doveva prendere a letto? E’ arrivata ora e si è scusata dai. Io la perdono, Luca non so.

Ci hanno portato due frittatine con l’insalata (che Luca mi ha convinta a non mangiare) e un succo che non si capisce che cosa sia, ma troppo ghiacciato e non molto buono. Tanto pane, burro, due banane, acqua, una caraffa piena di caffè.

8.08 Siamo sul tap-tap. Abbastanza comodi per ora. Perlomeno i sedili sono imbottiti. Siamo in 4 su 3 posti, ma non ci si può lamentare. 150 HTG (3 euro scarsi) per Port-au-Prince, poi là si cambia per Les Cayes. Alla fermata dei tap-tap c’era un tipo che parlava un buon francese che ci ha spiegato di andare fino a Port-au-Prince, perché a Carrefour, un paesino dove consiglia di cambiare la Lonely Planet, è difficile trovare un tap-tap che ti porti Aux Cayes, bisogna cambiare un’infinità di tap-tap intermedi. Luca si è messo la sciarpa sul naso perché stanno bruciando della plastica da qualche parte. 8.30 A me sembra che siamo già piuttosto pieni, che stiamo aspettando? Luca dice che il fatto di dover andare fino a Port-au-Prince è un segno, dovremmo fermarci lì, senza tornare al Sud. Non ha proprio voglia di andare all’Ile-a-vache. Ci sono camionette della polizia dell’Onu che girano per Jacmel. A fare cosa non si sa bene.

9.52 Arrivati a PAP (Port-au-Prince). Bordello. All’entrata della città c’è una strada con un mercato, bancarelle e baracche, e sulla strada acqua mista a immondizie, macerie, sassi e polvere. Non stupisce che ci sia il colera. C’era un vecchietto che spalava merda da uno di questi scoli d’acqua, con gli stivali per fortuna. Da un tap-tap siamo saliti subito sull’altro (ho sentito parlare talmente tanto della delinquenza di PAP che sono contenta di non dover camminare in giro con gli zaini in spalla). Solo che su questo siamo solo in 3. Se aspettiamo che si riempia partiremo fra un paio d’ore e arriveremo a Cayes troppo tardi per il battello per l’isola della vacca.

Dopo che siamo partiti da Jacmel con il tap-tap siamo saliti su un monte. C’era un paesino con il mercato e degli asinelli parcheggiati da un lato; servono ai contadini per portare in giro i loro prodotti. Le bimbe hanno sui capelli fiocchi bianchi, azzurri o rosa, a seconda del colore della loro divisa scolastica.

Non so se Luca tornerà a casa con le scarpe. Qualcuno prima o poi gli taglierà i piedi per tenersele. E’ sceso dal tap-tap per fumare e tutti gli guardano i piedi. Un venditore di cosmetici è stato sul tap-tap 10 minuti per cercare di vendere un campioncino di profumo ad un haitiano seduto dietro di noi, e dei profilattici qui davanti. Alla fine se n’è andato senza vendere niente. Chissà quanto voleva per quei campioncini che da noi ti danno gratuitamente.

port au prince

La vista dal tap tap mentre aspettavamo di ripartire da PaP verso Port Salut

Forse era meglio se cambiavamo a Carrefour come diceva la guida. Perché abbiamo perso un’ora per entrare in città ed è già un’ora che siamo qui che aspettiamo che il bus si riempia. Sono le 11 e ci aspettano 4 ore di viaggio e ciò significa che perderemo il traghetto.

18h10 LES CAYES Siamo su un taxi condiviso in attesa di andare a Port Salut. Alla fine il tap-tap da PAP è partito alle 2 del pomeriggio (dopo 4 ore che ci siamo saliti) e siamo arrivati a Les Cayes da poco, troppo tardi per l’Ile-a-Vache. Speriamo ci sia posto da dormire al Coconut Breeze di Port Salut, dove stiamo andando in alternativa all’isola. E’ la mia sola preoccupazione al momento. E ho bisogno di prelevare. Odio trovarci senza soldi. Les Cayes è abbastanza grande, quindi dovrebbero esserci banche, ma non si sa mai.

23h

Mamma mia che giornata! Alla fine Port Salut non è a soli 30 minuti da Les Cayes, come dice la guida, ma a un’ora circa. La voiture si è riempita solo verso le 6.45, c’è voluto un po’ che sistemassero la situazione soldi (credo che l’incaricato a raccoglierli se ne sia intascati un po’) e siamo partiti per le 7, che cominciava a fare buio. Alle 8.30 siamo arrivati a Port Salut, ma nessuno sapeva dove fosse sto Coconut Breeze. I nostri compagni di viaggio sul cassone del pick-up (il taxi) hanno provato a chiamare parenti e amici per scoprire dov’era, ma niente. Hanno provato a chiamare anche l’hotel, ma non rispondeva nessuno. Il chauffeur ha iniziato ad arrabbiarsi e ci ha mollati là non appena è passato uno in moto. Il ragazzino della moto ci ha portati al Coconut; per strada dal peso ha fatto rua alta e Luca è saltato giù dalla moto in movimento (io ero in mezzo e mi son salvata). L’hotel però era chiuso. Io iniziavo ad impanicarmi e son caduta scendendo dalla moto (fatto niente). Eravamo un po’ scoraggiati e stanchi. Questa zona però per fortuna è piena di hotel e guest-house, abbiamo trovato presto un altro posto. La Pointe Sable è la guest house che ci ha ospitati. La camera costa un po’. Siamo riusciti ad abbassare il prezzo fino a 65 dollari, visto che restiamo 3 notti. Ma ero pronta a pagare i 100 dollari del Dan’s Creek (un bel hotel sull’oceano con una piscina) pur di avere un posto dove dormire.

Alla Pointe Sable c’era una festa al nostro arrivo. Stavano festeggiando il compleanno del papà del proprietario. Ci hanno offerto da bere e da mangiare. Un bel sollievo dopo la giornataccia di oggi. Comincia già a mancarmi la comodità della Repubblica Dominicana.

Ayiti

Ayiti

HAITI, JACMEL

18 Marzo, 12h43.

Luca ha sforzi di vomito continuo dopo il giro in barca di questa notte. Alla fine ci hanno portati ai barconi sulle spalle. E lo stesso per scendere a Marigot. All’inizio sembrava quasi carino: sdraiati comodi su dei sacchi, noi due abbracciati sotto le stelle, cullati dal mare… Poi la barca si è riempita, c’erano piedi e gomiti dappertutto, odori e chiacchiere, lamentele contro “les blancs” che si sono messi storti, 5 ceste piene di galline con tutto quel che ci va dietro, e quando la barca è partita si sono aggiunti il freddo e la paura di saltare fuori quando si piegava un po’ troppo contro un’onda. Ma siamo arrivati. Alle 4 di mattina per prima cosa ho fatto la pipì dietro una barchetta, poi abbiamo preso il primo gua-gua verso Jacmel. Non so a che velocità andasse, ma la strada era tutta dritta e non c’era traffico. Noi sul cassettone dietro, tutto aperto, col freddo vento della notte sulla faccia … e son anche riuscita a dormire, non so come. E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta.

Siamo arrivati a Jacmel verso le 6 del mattino. Troviamo subito l’hotel consigliato dalla Lonely Planet. Ma anche se c’è una tizia che ogni tanto esce, non entriamo subito perché abbiamo paura che ci facciano pagare una notte in più. E poi ci ha detto che costa 70 dollari. O ha detto 50? Boh, non li capisco. Comunque mentre eravamo là ad aspettare che passasse il tempo abbiamo visto la città svegliarsi. Anzi, era già bella sveglia quando siamo arrivati, tutti lì a dirci Port-au-Prince? Taxi? Moto? Comunque un po’ alla volta hanno iniziato a uscire le donne, i bambini che alle 6.30 erano già con la loro bella divisa e di corsa verso l’autobus, i vecchietti nei loro giri di vendite.

Verso le 7 ci decidiamo ad entrare. Al Guys Hotel la stanza non ha l’aria condizionata, la finestrella minuscola è su in alto, non si passa intorno al letto e il bagno è in comune con altri. Sembra di stare in India, solo che là una stanza così la paghi 5 dollari, non 50. Riposino subito, poi un’ora e mezza in banca a cercare di prelevare. L’unico bancomat del paese non funziona e per farmi dare un “anticipo” sulla mia Visa devo aspettare che la addetta finisca con un cliente, la quale però dopo un’ora e mezza che vede che ancora non ha finito ci fa la grazia di uscire, passa la carta su un pos, ritiriamo i soldi e in 5 minuti siamo fuori.

Jacmel ha 40.000 abitanti ma sembra più piccola di Arzignano.

Ci gira la testa, un po’ per il post-barca, un po’ per il sonno. Credo che l’Hotel Florita sia uno dei pochi posti in città con internet. Infatti ci sono alcuni giovani del posto con il loro laptop. E’ molto carino, all’interno di un vecchio edificio che visto da fuori sembra stia per cascar giù, il ristorante-bar è un gran salone con un albero in mezzo che esce da un buco sul tetto.

Hotel de la place Jacmel

17h13 Place Toussaint de l’Ouverture (Piazza Ognissanti praticamente). Fa ancora caldo. Per fortuna Jacmel è piccolina da vedere perché siamo tornati in albergo e ci siamo rimasti fino alle 3. E la stanchezza ancora non è passata. Ora siamo all’Hotel de la Place a bere un buon succo banana/fragola e a guardare la gente che passa per la strada (come dice di fare la LP).

Siamo passati attraverso il casino e le mosche del Marché de Fer, il mercato del paese, chiuso solo la domenica, dove la gente va a prendere tutto quel che le serve (non ho visto altri negozi in giro, neanche di quelli minuscoli che vendono sigarette, rum e poco altro; solo qualche bottega d’arte: Jacmel è la città degli artisti, quindi qui tutti un po’ lo sono, che vogliano o no!).

Penso che dei 40.000 abitanti di Jacmel la metà siano al mercato in questo momento, a vendere, a comprare, a chiacchierare, a guardare, a rubare, a curiosare. Comunque sembra che tutti i rifiuti del mondo si siano riversati qui per essere rivenduti. Vecchi pezzi di auto, vecchie radio, vecchie scarpe, vecchi ferri.

Nonostante tutto Jacmel è carina. E’ un po’ a pezzi, ha sofferto molto durante il terremoto e ancora si vedono macerie in giro. Però alcune casette sono molto carine e particolari.

Luca non vuole andare all’Ile-à-Vache (l’Isola della Vacca) perché ha paura di dover dormire per terra (a Ile-à-Vache ci sono due resort dove si pagano 200 euro al giorno oppure si può stare in casa con delle famiglie locali a 10 dollari circa. E io ovviamente propendevo per la seconda opzione). Mi fa tenerezza, si vede che sta un po’ male e non vede l’ora di tornare in Repubblica! Anch’io stavo meglio di là, e gli alberghi in cui siamo stati erano delle regge in confronto a quello odierno e costavano la metà; ma sono pronta a passare qualche giorno difficile, poi avrò comunque altre 3-4 settimane per rilassarmi.

Vendono l’acqua in sacchettini che contengono la quantità di un bicchiere. Ci succhiano fuori l’acqua e il sacchetto finisce per terra.

20h42 Siamo in albergo già da un’oretta. Stanchi morti. C’era la messa qui di fianco, con dei gran canti. Sono venuta ad Haiti per il vudù e la prima cosa che incontro è una celebrazione cristiana. Prima sulla spiaggia c’erano delle bimbe dai 5 ai 7 anni che provavano un balletto. Che brave a dimenare il loro fondoschiena e battere i piedi.