Itinerario di 40 giorni da Santo Domingo a Port au Prince e ritorno
Nel 2014 ho viaggiato con il mio ragazzo nella Repubblica Dominicana e Haiti, zaino in spalla e mezzi pubblici. Come al solito abbiamo lasciato l’Italia senza avere un itinerario preciso in mente, decisi a farci guidare dalle nostre sensazioni lungo la strada.
Siamo arrivati a Santo Domingo dopo un lungo viaggio con una pausa di molte ore a New York, un volo lungo che ci ha fatto risparmiare un po’ di soldi ma ci ha anche stremati.
Santo Domingo è la capitale della repubblica, una bella città con architettura coloniale interessante. Può anche spaventare in alcune aree, in particolare attorno al Parque Enriquillo, dove partono gli autobus che girano per il paese. Luca era un po’ scosso il primo giorno, prima di allora aveva girato solo in Europa, non era abituato al caos e al traffico disordinato e pericoloso.
La prima tappa ad Haiti fu Jacmel, una cittadina di artisti molto carina sulla costa sud, che portava ancora i segni del disastroso terremoto del 2010.
Qui abbiamo avuto un anticipo di come sarebbe stato viaggiare ad Haiti: sporco, caotico, quasi impossibile prelevare soldi.
Port Salut è un luogo di villeggiatura carino, calmo e rilassato. Da qui siamo andati a Les Cayes in giornata, con l’idea di fare un salto anche all’Ile de Vache, ma i ritardi causati dai trasporti e dalla ricerca di un bancomat ce l’hanno impedito.
Dopo Port Salut siamo saliti a Port au Prince, la capitale. Il primo impatto non è stato dei migliori, in quanto appena arrivati un ragazzo ha cercato di rubare dalle nostre tasche e dallo zaino. Il centro di Port au Prince non è male, a parte il caldo e la polvere, ma appena fuori dalle strade e piazza principali è un casino e per niente rassicurante. Comunque abbiamo visto un po’ di arte Vudù, che era il motivo principale per cui volevo venire ad Haiti.
Da Port au Prince un altro luuuungo e pauroso viaggio fino a Cap Haitien. Cap Haitien sarebbe anche carina e pulita, molto diversa dalla capitale, pur essendo una città grande. Ma questo nel centro, appena fuori c’è un canale pieno di rifiuti, un gran brutto vedere.
Da Cap Haitien abbiamo passato la frontiera per tornare in Repubblica Dominicana (quindi praticamente siamo entrati ad Haiti da sud e usciti da nord; c’è un altro passaggio al centro, lungo una strada che collega le due capitali, se non sbaglio).
Un viaggio zaino in spalla molto più facile in Repubblica Dominicana
Che bella sensazione essere di nuovo in Repubblica Dominicana! Ci siamo resi conto di quanto sia stato difficile viaggiare ad Haiti. La Rep Dom è molto più economica, è molto più facile girare, cibo e caffè sono disponibili praticamente ovunque, si può prelevare denaro da qualsiasi bancomat, gli hotel sono puliti. Ora, qualche anno più tardi, sono felice di quella esperienza ad Haiti, ma non so se riuscirei a rifarla, è stato veramente stancante. Probabilmente è più semplice se hai soldi e puoi noleggiare un’auto o un autista. Cap Haitien comunque è stato il posto più carino.
Arrivati in Repubblica Dominicana abbiamo passato alcuni giorni a Monte Cristi, per riprenderci e rifocillarci. Da qui siamo poi andati a Santiago e Constanza, sulle montagne.
La prima spiaggia è stata a Cabarete, un posto per amanti del surf. Era il primo posto dove incontravamo tanti turisti stranieri; tutta la costa nord ha molti turisti stranieri, in particolare dagli Stati Uniti (e anche molti italiani e francesi che si sono trasferiti lì dopo la pensione). A Cabarete ho mangiato la miglior colazione della mia vita.
Da qui abbiamo attraversato il paese e siamo passati alla costa sud. Avevamo valutato l’opzione di stare un paio di giorni in uno dei resort full inclusive della costa est, pagare 80 dollari al giorno per prendere il sole e abbuffarci (si mangia molto pollo in Repubblica Dominicana, a un certo punto hai proprio voglia di qualcosa di diverso), ma non ci era rimasto molto tempo e così siamo andati direttamente a sud.
Ripeterei questo viaggio tra Repubblicana Dominicana e Haiti? Sì, e probabilmente rifarei un itinerario simile. So che Haiti è stato un incubo, ma vorrei vedere se è cambiata la situazione. Gli Haitiani non meritano di vivere così.
Sembra quasi di stare in America. Ci sono molti “blancs”, edifici più alti di un piano, supermercati su due piani, negozi di vestiti e addirittura bancomat che funzionano! Abbiamo fatto colazione alla patisserie francaise del supermercato. Una pasta e un caffè che ci son costati più che in Italia, ma ce li siamo meritati!
La pasticceria del supermercato
Qui a Petionville si gira veramente tranquilli. E’ la zona dove vivono gli expats (stranieri trasferitisi qui) e gli haitiani più agiati. E’ anche la zona dove ci sono gli hotel più decenti. Ora vediamo com’è giù in paese 🙂
Petionville – vendita al dettaglio
15h30 Hotel Oloffson. Siamo qui a riprenderci dopo la lunga camminata in giro per PAP. Più che altro fa caldissimo e abbiamo i piedi pieni di polvere. L’Oloffson è un’istituzione a Port-au-Prince, un hotel antico in stile gingerbread (pan di zenzero). E’ fuori dalla nostra portata, per pernottarci, ma per una bibita e riprendere fiato ci sta. All’interno ha un murales bellissimo e una zona dove suonano i gruppi. All’esterno è tutto bianco, con dei tavolini sulla veranda e un bel giardino con piscina attorno.
Abbiamo fatto un bel giro finora. Abbiamo preso il tap-tap che ci ha portati fino alla città . Siamo stati a vedere i resti della cattedrale, dove in mezzo ai ruderi stavano facendo una cerimonia.
Rovine della cattedrale di Notre Dame a Port au Prince
Lasciato il mercato abbiamo camminato verso sud lungo il Boulevard Jean-Jacque Dessalines, una delle arterie principali di Port-au-Prince. Lungo la strada si vedevano meccanici al lavoro, gommisti, venditori di tutti i tipi (bibite, cosmetici, tavole e sedie). Comunque abbastanza tranquillo, a parte il caldo e lo sporco. E’ un’altra cosa passeggiare in pieno giorno senza zaini attorno.
Autista/meccanico al lavoro lungo Boulevard Jean-Jacque Dessalines
Volevamo anche fare un giro al cimitero, ma era chiuso.
Lasciamo quest’oasi di pace e frescura, dove tre limonate ci son costate 9 euro, un’esagerazione per noi che abbiamo i soldi contati (ma ho approfittato anche di internet), per tornare nel casino e nella polvere.
16h45 Siamo nel parco principale di Port-au-Prince. Si sta bene ora: è un po’ più fresco, c’è una bella brezza che non sa di plastica (siamo a poche centinaia di metri dal mare, ma durante le ore centrali della giornata non si sente). Poco distante da noi c’è un gruppetto raccolto attorno ad un oratore, ogni tanto si esaltano ed applaudono. Dall’altra parte ci sono i bagni: se fai solo la pipì sono 5 gourde, se fai anche la cacca il costo per l’uso del gabinetto raddoppia. Ma qualcuno entra a controllare cos’è stato fatto?
Cacca o pipì?
23h Domani allora si riparte. Devo ammettere che anch’io sono un po’ provata da tutti questi giorni di lunghi viaggi, che non mi aspettavo di fare qui, e ho paura di quel che ci aspetta domani. 7 ore, sulla carta, per Cap Haitien. Un’orchestra in strada. Direi che è l’ora giusta per mettersi a suonare trombe e piatti e cantare in strada. Cosa staranno festeggiando? Non so e non mi posso informare, sono in camera, al terzo piano.
BRIVIDO stasera, mentre stavamo tornando verso Petionville. Erano le 6 e da un locale dove stavano ballando, parte “Un’estate italiana”; con i veri Bennato e Nannini (pensavo fosse un remake). Ho sempre amato questa canzone. Mi metto a cantarla mentre camminiamo, un po’ emozionata, rallentando il passo per gustarmela il più a lungo possibile, e mi viene incontro tra la folla un haitiano che canta pure lui ad alta voce. Pelle d’oca.
Oggi siamo stati sempre qui intorno, abbiamo camminato lungo la strada principale di Port Salut che segue la costa (lungo la spiaggia non è possibile, ci sono parti rocciose dove camminare è pericoloso e molte zone comunque sono private, di proprietà di hotel e abitazioni, chiuse al passaggio) e stasera ultimo bagnetto nel Mar dei Caraibi.
Abbiamo diviso le ossa del pollo (super buono!) tra due cani e poi ho visto che c’era anche un cucciolo qui dietro. No! Poverino! Lui non ha mangiato! Prenderei un altro pollo solo per dare le ossa a lui.
Una gallinella si è appollaiata sulla sedia a sdraio e il cucciolo di cane sulla sua brandina personale (ho visto solo lui finora lì sopra). Pensavo che se mi trasferissi qui probabilmente non troverei tanto facilmente l’antipulci per i gatti.
Stasera abbiamo mangiato anche l’insalata e i pomodori, speriamo di non pentircene!
Il landlord ci ha detto che è più facile trovare una camionette alle 5-5.30. Quindi questa sarà la nostra sveglia domattina. Ci lascerà il cancello principale aperto. Ok, si può fare. In Tanzania capitava ben più spesso di qua.
La femmina dalle tette scure si è messa a dormire tra noi. Bello come questi cani cercano la compagnia degli uomini. Più che randagi sembrano cani di tutti. Di qua girano i soliti quattro, che però si vedono anche attorno ad altre case. In spiaggia ce n’erano altri ancora.
Mentre venivamo qui da PAP, poco prima di Les Cayes, ci siamo fermati a far scendere un tipo e il suo frigorifero scassato (che stava sul tetto). Mi chiedevo cosa se ne facesse, e qui l’ho capito: ovunque si vedono vecchi frigoriferi e freezer staccati dalla corrente, che servono per tenere le bibite e il latte isolati dalla calura esterna. Magari non saranno freschi, ma meno caldi sì.
“Vous voulez pas boire une bière avec nous?” ci ha chiesto il landlord. Gli abbiamo detto che stavamo per andare a dormire. Ok. Il ragazzino comunque ci ha portato birra e sprite e ci hanno lasciati qui a bere. Da soli. Boh. Vabbè, apprezzato comunque.
7.02 del mattino. E’ da mezz’ora che aspettiamo che ci preparino la colazione, ma la prima “dipendente” è arrivata 10 minuti fa. Di notte c’eravamo solo noi qui dentro mi sa. Eppure ieri sera avevamo avvisato la ragazza che dovevamo partire presto. La stessa ragazza che ieri alle 6 era già qui. Proprio oggi si doveva prendere a letto? E’ arrivata ora e si è scusata dai. Io la perdono, Luca non so.
Ci hanno portato due frittatine con l’insalata (che Luca mi ha convinta a non mangiare) e un succo che non si capisce che cosa sia, ma troppo ghiacciato e non molto buono. Tanto pane, burro, due banane, acqua, una caraffa piena di caffè.
9.52 Arrivati a PAP (Port-au-Prince). Bordello. All’entrata della città c’è una strada con un mercato, bancarelle e baracche, e sulla strada acqua mista a immondizie, macerie, sassi e polvere. Non stupisce che ci sia il colera. C’era un vecchietto che spalava merda da uno di questi scoli d’acqua, con gli stivali per fortuna. Da un tap-tap siamo saliti subito sull’altro (ho sentito parlare talmente tanto della delinquenza di PAP che sono contenta di non dover camminare in giro con gli zaini in spalla). Solo che su questo siamo solo in 3. Se aspettiamo che si riempia partiremo fra un paio d’ore e arriveremo a Cayes troppo tardi per il battello per l’isola della vacca.
Dopo che siamo partiti da Jacmel con il tap-tap siamo saliti su un monte. C’era un paesino con il mercato e degli asinelli parcheggiati da un lato; servono ai contadini per portare in giro i loro prodotti. Le bimbe hanno sui capelli fiocchi bianchi, azzurri o rosa, a seconda del colore della loro divisa scolastica.
Non so se Luca tornerà a casa con le scarpe. Qualcuno prima o poi gli taglierà i piedi per tenersele. E’ sceso dal tap-tap per fumare e tutti gli guardano i piedi. Un venditore di cosmetici è stato sul tap-tap 10 minuti per cercare di vendere un campioncino di profumo ad un haitiano seduto dietro di noi, e dei profilattici qui davanti. Alla fine se n’è andato senza vendere niente. Chissà quanto voleva per quei campioncini che da noi ti danno gratuitamente.
La vista dal tap tap mentre aspettavamo di ripartire da PaP verso Port Salut
18h10 LES CAYES Siamo su un taxi condiviso in attesa di andare a Port Salut. Alla fine il tap-tap da PAP è partito alle 2 del pomeriggio (dopo 4 ore che ci siamo saliti) e siamo arrivati a Les Cayes da poco, troppo tardi per l’Ile-a-Vache. Speriamo ci sia posto da dormire al Coconut Breeze di Port Salut, dove stiamo andando in alternativa all’isola. E’ la mia sola preoccupazione al momento. E ho bisogno di prelevare. Odio trovarci senza soldi. Les Cayes è abbastanza grande, quindi dovrebbero esserci banche, ma non si sa mai.
23h
Mamma mia che giornata! Alla fine Port Salut non è a soli 30 minuti da Les Cayes, come dice la guida, ma a un’ora circa. La voiture si è riempita solo verso le 6.45, c’è voluto un po’ che sistemassero la situazione soldi (credo che l’incaricato a raccoglierli se ne sia intascati un po’) e siamo partiti per le 7, che cominciava a fare buio. Alle 8.30 siamo arrivati a Port Salut, ma nessuno sapeva dove fosse sto Coconut Breeze. I nostri compagni di viaggio sul cassone del pick-up (il taxi) hanno provato a chiamare parenti e amici per scoprire dov’era, ma niente. Hanno provato a chiamare anche l’hotel, ma non rispondeva nessuno. Il chauffeur ha iniziato ad arrabbiarsi e ci ha mollati là non appena è passato uno in moto. Il ragazzino della moto ci ha portati al Coconut; per strada dal peso ha fatto rua alta e Luca è saltato giù dalla moto in movimento (io ero in mezzo e mi son salvata). L’hotel però era chiuso. Io iniziavo ad impanicarmi e son caduta scendendo dalla moto (fatto niente). Eravamo un po’ scoraggiati e stanchi. Questa zona però per fortuna è piena di hotel e guest-house, abbiamo trovato presto un altro posto. La Pointe Sable è la guest house che ci ha ospitati. La camera costa un po’. Siamo riusciti ad abbassare il prezzo fino a 65 dollari, visto che restiamo 3 notti. Ma ero pronta a pagare i 100 dollari del Dan’s Creek (un bel hotel sull’oceano con una piscina) pur di avere un posto dove dormire.
Alla Pointe Sable c’era una festa al nostro arrivo. Stavano festeggiando il compleanno del papà del proprietario. Ci hanno offerto da bere e da mangiare. Un bel sollievo dopo la giornataccia di oggi. Comincia già a mancarmi la comodità della Repubblica Dominicana.
Luca ha sforzi di vomito continuo dopo il giro in barca di questa notte. Alla fine ci hanno portati ai barconi sulle spalle. E lo stesso per scendere a Marigot. All’inizio sembrava quasi carino: sdraiati comodi su dei sacchi, noi due abbracciati sotto le stelle, cullati dal mare… Poi la barca si è riempita, c’erano piedi e gomiti dappertutto, odori e chiacchiere, lamentele contro “les blancs” che si sono messi storti, 5 ceste piene di galline con tutto quel che ci va dietro, e quando la barca è partita si sono aggiunti il freddo e la paura di saltare fuori quando si piegava un po’ troppo contro un’onda. Ma siamo arrivati. Alle 4 di mattina per prima cosa ho fatto la pipì dietro una barchetta, poi abbiamo preso il primo gua-gua verso Jacmel. Non so a che velocità andasse, ma la strada era tutta dritta e non c’era traffico. Noi sul cassettone dietro, tutto aperto, col freddo vento della notte sulla faccia … e son anche riuscita a dormire, non so come. E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta.
Verso le 7 ci decidiamo ad entrare. Al Guys Hotel la stanza non ha l’aria condizionata, la finestrella minuscola è su in alto, non si passa intorno al letto e il bagno è in comune con altri. Sembra di stare in India, solo che là una stanza così la paghi 5 dollari, non 50. Riposino subito, poi un’ora e mezza in banca a cercare di prelevare. L’unico bancomat del paese non funziona e per farmi dare un “anticipo” sulla mia Visa devo aspettare che la addetta finisca con un cliente, la quale però dopo un’ora e mezza che vede che ancora non ha finito ci fa la grazia di uscire, passa la carta su un pos, ritiriamo i soldi e in 5 minuti siamo fuori.
Jacmel ha 40.000 abitanti ma sembra più piccola di Arzignano.
Ci gira la testa, un po’ per il post-barca, un po’ per il sonno. Credo che l’Hotel Florita sia uno dei pochi posti in città con internet. Infatti ci sono alcuni giovani del posto con il loro laptop. E’ molto carino, all’interno di un vecchio edificio che visto da fuori sembra stia per cascar giù, il ristorante-bar è un gran salone con un albero in mezzo che esce da un buco sul tetto.
Penso che dei 40.000 abitanti di Jacmel la metà siano al mercato in questo momento, a vendere, a comprare, a chiacchierare, a guardare, a rubare, a curiosare. Comunque sembra che tutti i rifiuti del mondo si siano riversati qui per essere rivenduti. Vecchi pezzi di auto, vecchie radio, vecchie scarpe, vecchi ferri.
Nonostante tutto Jacmel è carina. E’ un po’ a pezzi, ha sofferto molto durante il terremoto e ancora si vedono macerie in giro. Però alcune casette sono molto carine e particolari.
Vendono l’acqua in sacchettini che contengono la quantità di un bicchiere. Ci succhiano fuori l’acqua e il sacchetto finisce per terra.
20h42 Siamo in albergo già da un’oretta. Stanchi morti. C’era la messa qui di fianco, con dei gran canti. Sono venuta ad Haiti per il vudù e la prima cosa che incontro è una celebrazione cristiana. Prima sulla spiaggia c’erano delle bimbe dai 5 ai 7 anni che provavano un balletto. Che brave a dimenare il loro fondoschiena e battere i piedi.