Dalla penisola di Samanà alla costa meridionale della Repubblica

Dalla penisola di Samanà alla costa meridionale della Repubblica

13 Aprile 2014

6h42

Colazione e poi si parte per Sabana de la Mer. Speriamo che il gua-gua non parta mentre sto mangiando il mio uovo. C’è anche la guardia della banca, che si trova 50m più in là, e penseresti che sia venuto a bersi un caffé, ma è qui ogni volta che ci veniamo anche noi. E’ un po’ strano sto tipo: canta, parla in italiano, sta qua 5 minuti e torna al suo alvoro.

Las Galeras è internazionale come Las Terrenas, ma meno commerciale e meno lussuosa. A Las Terrenas c’è una fila di ristoranti con menu occidentali lungo la spiaggia. Las Galeras ha qualche hotel e un resort, un paio di ristoranti occidentali e nel complesso è abbastanza tranquilla. Ci sono molti espatriati, che gestiscono un ristorante, un bar, insegnano inglese o semplicemente sono pensionati che non riescono a star fermi e vengono qui a dedicarsi al mercato immobiliare di giorno e ai giovani domenicani/e di notte. E’ comunque un paese molto tranquillo, anche perché non è una zona di passaggio, si trova proprio sulla punta della penisola di Samanà, quindi chi viene qua viene apposta per Las Galeras, la strada finisce qua.

La stada principale (e una della uniche due) di Las Galeras, deserta al mattino

La strada principale di Las Galeras. Una delle due strade del paese.

Las Galeras è il primo posto dove alle 7 del mattino la gente ancora dorme. C’è qualcuno al ristorante, ma poca gente. Forse perché è domenica o forse perché sono più rilassati. Anche qui la zona vicino al mare è dedicata ai turisti (con un paio di alberghi di lusso e un resort), mentre appena dietro questa fila di edifici ci sono i locali per la gente del posto e gli straccioni come noi.

Ecco il gua-gua. C’è una signora con un buon profumo che sta andando a prendere l’aereo per il Costa Rica. Parlava con un altro passeggero della sua pressione alta e del colesterolo. Si dicevano che bisogna mangiare meno grassi, meno sale, bere tanta acqua e camminare. Mmm? un po’ cammino. Tutto il resto invece non lo sto rispettando. Viviamo piuttosto male: mangiamo un sacco di cose fritte (patate, pollo, pesce, braciole e persino banane), acqua ne beviamo poca perché pesa portarla in giro, sale in abbondanza. Quando torniamo dobbiamo fare una buona disintossicazione.

Processione mentre aspettiamo la barchetta

Processione mentre aspettiamo la barchetta

12.21 HATO MAYOR

Da Samanà abbiamo preso un traghetto per attraversare il golfo; appena arrivati dall’altra parte, a Sabana de la Mer, abbiamo preso un gua-gua per Hato Mayor, da qua dovremo cambiare e prenderne uno per Higuey e poi un altro per Boca de Yuma. Arriveremo per le 3 credo. Bello tornare sulla strada.

Prima ripensavo a John, il proprietario di El Cabito. Due volte siamo stati al suo ristorante 50 m sopra il mare e due volte lui stava bevendo. La sera si sarà fatto un litro di vino nell’ora che siamo stati lì. Del resto non ha altro da fare. Della gestione del campeggio si occupa Rosa, una spagnola. Lui deve solo bere e guardare il mare.

Saman?. "Traghetto" per attraversare il golfo e arrivare a Sabana De La Mer

Samanà. “Traghetto” per attraversare il golfo e arrivare a Sabana De La Mer

15h50 Boca de Yuma, Hotel El Viejo Pirata.

Che bello! C’è una strada che separa l’hotel dall’oceano, ma l’ombra del terrazzo e l’arietta dal mare mi fanno sentire perfettamente a mio agio anche qui. Il proprietario, un certo Sandro, è qui da tre giorni. Prima c’era un altro, un triestino, che per per vari motivi si è stancato; resta comunque a vivere qui, con la seconda moglie dominicana e una figlia, ma ora dell’albergo se ne occupa Sandro. Sandro ha anche un figlio, che ha un resort a Juan Dolio, il paese dove andremo una volta lasciata Boca de Yuma. Sandro ha detto che gli può chiedere di farci un buon prezzo, ma non sarà mai più economico dell’alberghetto hippy che ho visto sulla Lonely Planet. Ci sono rimaste poche migliaia di pesos, domani dovremo tornare a Higuey, a un’ora scarsa da qui, con Sandro in cerca di una banca.

Si torna dai Dominicani!

Si torna dai Dominicani!

26 Marzo 2014

7.25 Siamo in stazione a Cap Haitien, sul caldissimo tap-tap per Ouandinthe, sul confine. In teoria sono 3 ore di viaggio. Speriamo. Siamo anche belli pieni, pronti a partire. Colazione al Croissant d’Or. Bello tornare in un posto conosciuto, ti fa sentire a casa. C’è puzza di piedi qui dentro. Comincio a pensare che siano quelli di Luca! Solita confusione e tanta immondizie, sulle strade e nel canale. Un peccato, visto che il centro città era così pulito e ordinato, un tale contrasto rispetto Port-au-Prince!

Poco dopo la partenza ci siamo fermati per gonfiare una ruota. Per fortuna ci sono sti meccanici lungo la strada che in pochi minuti sistemano tutto. Chiamarli “meccanici” forse è un po’ troppo. Hanno due ferri e un compressore a benzina, senza un’officina o un ufficio. Fanno tutto sul ciglio della strada in pochi minuti, non c’è neanche bisogno che l’autista spenga il motore.

9h44: Au revoir tap-tap et “Dieu tout Pouissant” (stampato ovunque, dai tap-tap alle banche, sui muri delle case, a caso…), bienvenidos gua-gua e “Cristo ya viene”. Siamo a DAJABON, sul gua-gua per Monte Cristi, la nostra destinazione finale per oggi. Speriamo che l’hotel sia decente perché abbiamo bisogno di riposare un po’! Abbiamo perso qualche euro nel cambio dei gourdes in pesos (avvenuto per strada da un uomo a caso, un ufficio di cambio autorizzato non esiste), ma abbiamo risparmiato 40 dollari a testa venendo in tap-tap anziché con Caribe Tours: 25 dollari (-5 spesi da noi per i mezzi pubblici) per il pullman e 20 per la frontiera haitiana (all’ufficio del Caribe Tours ci avevano chiesto 30 USD per le tasse doganali: 10 per la frontiera dominicana, che abbiamo in effetti pagato, e 20 per la frontiera Haitiana, che invece non ci sono stati chiesti quando siamo usciti). Ci conferma che quando si viaggia con gruppi di stranieri tutti ne approfittano, è meglio arrangiarsi quando si può. Certo, magari il bus diretto era più comodo, ma ci è andata abbastanza bene dai. Il tap tap dopo mezz’oretta si è svuotato, e ora il gua-gua è climatizzato e comodo, ognuno con il suo posto assegnato. La Lonely Planet diceva che ci volevano tre ore per arrivare alla frontiera ad Haiti, invece in un’ora e mezza l’avevamo anche passata.

Che ridere, quando siamo arrivati a Ouanaminthe, appena scesi dal tap-tap siamo stati assaliti da una ventina di moto, tutti che ci volevano portare al confine. Luca è stato bravo, ne ha scansati un po’, si è acceso una sigaretta, mantenendo la calma. La moto dovevamo prenderla, ma a lui dava fastidio che ci avessero assaliti a quel modo. Io a vederlo così mi sono messa a ridere, sapendo come doveva essere in realtà super-nervoso, dietro la calma apparente, ed ho spiegato ai moto-tassisti che ci dovevano dare spazio o quello lì sboccava. Alla fine una moto a testa e con neanche un dollaro siamo arrivati alla frontiera. Primo ufficio e timbro per uscire da Haiti, qualche centinaio di metri lungo uno stradone, e la frontiera dall’altra parte. Seguiti da un gruppo di persone che volevano cambiarci le gourdes. Alla fine il primo ci aveva fatto l’offerta migliore e siamo tornati da lui.

18.30 MONTE CRISTI Che bello, che serenità! Ora mi rendo conto che Haiti non è stata per niente facile. Paghiamo 650 pesos per dormire, circa 12 euro, in una stanza senza finestre verso l’esterno, che quando scoreggiamo ci sentono alla reception, ma è pulita, spaziosa e profumata. Due caffè ci sono costati 30 RDS, che di là neanche in strada li pagavamo così poco. Abbiamo mangiato un piatto a testa con riso e capretto e sono stra-piena, non c’ero più abituata. Internet ovunque o quasi e libero, non come ad Haiti che dovevamo andare negli hotel di lusso e pagare. Gente cordiale che ti saluta e ti sorride per strada, nessuno di rabbioso o violento, gli autobus non hanno bisogno di rubarsi i passeggeri.

A Monte Cristi la spiaggia è un po’ lontana e niente di che, non credo che farò il bagno, ma in centro c’è gente ed è piacevole. Un supermercato con una corsia dedicata agli assorbenti, un bancomat funzionante a due passi dall’albergo. Non sembra neanche vero. La gente qui sta bene. Prima è passato uno con una Yamaha R1 (ha detto Luca). Siamo sul molo ora, si sta divinamente. Ci sono 4 uomini che si sono portati una cosa da bere e si sono messi in fondo al molo in attesa del tramonto. Belli.

Riflessioni dal bus.

Riflessioni dal bus.

12 Marzo 2014, secondo giorno in Rep Dom.

8.39 am

Fatta colazione. Due toast con burro e una sottiletta, un succo e un caffè. Vabbè, non è granché, ma meglio della cena di ieri sera (che non c’è stata). Il pranzo di ieri invece è da ripetere. Andiamo verso Los Patos. Con calma oggi, ché siamo ancora stanchini.

10.58 am

Sul bus per Barahona. Se riusciamo ad arrivare a Los Patos senza problemi prima di sera possiamo veramente dichiararci fortunati. Il bus è quasi pieno, non dovremmo aspettare molto. Anzi, si parte già! Ottimo! In teoria sono 2.5 ore per Barahona, poi boh, forse un’ora? Non abbiamo chiamato l’hotelito italiano là, ma contiamo di trovare posto, visto che il nostro hotel in La Capital era occupato solo da un maschio borrachone oltre a noi.

Una signorina seduta davanti a Luca si è girata la bocchetta dell’aria condizionata in modo che lo spiffero le asciughi l’ascella. L’ho vista mentre si sedeva che i peli le crescevano a vista d’occhio per l’umidità. 500 pesos in due per andare a Barahona, quasi 10 euro. Dovrebbero buttar giù un po’ di case e fare qualche rotatoria in più, c’è troppo casino per attraversare una strada trafficata.

Non è facile comunque comunicare. Il bello è che Luca in italiano si fa capire meglio di me, che cerco di sfruttare quel poco che mi ricordo dello spagnolo. E poi ha imparato a dire “Por favor” e “gracias” e ha scoperto che “escucha” non vuol dire “scusa” :). Come mi ha appena fatto notare il barbuto seduto vicino a me, il fatto che il bus sia partito subito ci ha fatto recuperare quasi interamente l’ora che abbiamo perso stamattina per cercare un bancomat che funzionasse. Dopo che abbiamo provato inutilmente in 3 diversi bancomat, Luca cominciava ad agitarsi: “E ora? Che facciamo?”. Beh, con tre diverse carte, un po’ di contante per le emergenze e la possibilità di farsi mandare soldi con Money Transfer o altri mezzi, sono abbastanza sicura che non ci troveremo a dormire per strada perché finiamo i soldi.

Siamo per strada e io non me ne intendo, e Luca meno di me, ma c’è questa musica latina che ci accompagna lungo il viaggio (forse merengue?); niente male. Un compagno di viaggio sta cantando la canzone che danno alla radio in questo momento.

L’autobus passa vicino a villaggi dalle casette a un piano, molte dai tetti a terrazzo, alcune coi tetti spioventi, a volte coperti di rami di palma. I ragazzini tornano da scuola, camicetta azzurra e pantaloncini kaki. Meglio dei ragazzi de La Capital, che vendono arance sui marciapiedi.

La radio non prende più purtroppo, quindi ora si guarda un film cinese demenziale, tipo quelli con Jackie Chan (senza offesa per Jackie Chan, ma non sono il mio stile).

Siamo a Bani. Da un ponte che passa sopra un fiume quasi completamente asciutto si vedono dei bimbi che fanno il bagno felici nella poca acqua rimasta, vicino a dei sacchetti di rifiuti lanciati chiaramente dal ponte stesso.

Stavo pensando che è una fortuna che la Repubblica Dominicana sia così piccolina: non dovremo fare quei viaggi in bus sgangherati da 8-10 ore che in Tanzania mi facevano scoppiare il mal di testa. E comunque le strade sono asfaltate (sono circa 5 cm più alte del ciglio, perché a quanto pare non stanno lì a grattare via l’asfalto vecchio, accumulano strato su strato, finché possono).

Ci sono scritte sugli autobus (Confia en Dios) e citazioni per strada con contenuti religiosi di stampo cristiano: i missionari qui sono riusciti bene nel loro lavoro.

Avremmo da imparare da loro per quanto riguarda l’evitare gli sprechi: una sola targa, sul retro dell’automobile; il nome dei negozi e annunci vari (a vender, a alguilar) scritti direttamente sui muri, senza bisogno di cartelli.

Nonostante le donne di qua abbiano il sedere piuttosto largo e cellulitico, gli uomini si girano a guardarlo senza troppo nascondersi, più per abitudine che per vero interesse, e se il fondoschiena in questione appartiene a qualche ragazza carina accompagnano la controllatina a qualche commento poco galante. Ma le donne qua ci sono abituate, guardano avanti e continuano per la loro strada senza battere ciglio.

Sosta per il pranzo. C’è un profumo di fritto e di salsine deliziose ora sul bus! Noi invece abbiamo preso un sacchettino di anacardi. Quando voglio qualcosa da mangiare non devo più chiedere a Luca se è d’accordo, è più tegnoso di me! Questo qua non mi fa più mangiare per risparmiare.

2pm. 3 ore di viaggio. Il film cinese è finito. Ora si ascolta della musica pop da un mp3. Non so se tutta la musica pop dominicana sia così, ma qui le canzoni fanno tutte riferimento a Dio (Dio mi ha trasformato in sua figlia…) o sono addirittura precedute da una breve parabola, adattata ai tempi moderni: “Storia di una donna di fede” che ha chiamato alla radio per raccontare la sua difficoltà nel riuscire a procurare del cibo per i suoi figli, e uno che l’ha sentita, impietosito, ha chiamato la radio per avere informazioni su di lei, e le ha mandato del cibo, con precisi ordini ai suoi dipendenti di dire alla donna che il cibo veniva dal “diablo” (non chiedetemi perché). Quando però la donna apre la porta e vede tutto quel cibo, è felice e ringrazia a profusione. E gli spedizionieri: “Ma come, non ti interessa sapere da dove viene questo cibo?”. E lei: “Quando il Signore sente le nostre richieste … ” e qui non ho più capito. Ecco, mi son persa l’insegnamento della parabola.

Qualche palma alta una ventina di metri, e sotto una miriade di palme diverse, alte poco più di un metro. Distese di vetro rotto brillano al sole: il resto dei rifiuti è stato bruciato, e il vetro è quel che è rimasto.

Centro Optico: Fe y Esperanza.

Alcuni villaggi sono più belli degli altri: anziché baracche dai tetti di latta ci sono casette di legno o cemento dai bei colori pastello. Ogni volta che il bus si ferma, si avvicinano 3-4 ragazzi con la moto, pronti a portare alla destinazione finale i viaggiatori. Due sacchetti e un borsone sul manubrio, la vecchietta dietro, e via! Due militari in congedo con i loro borsoni, sulla stessa moto dietro l’autista, per risparmiare. Toccherà anche a me e Luca, forse proprio oggi.

Ho ascoltato un’altra parabola di un giovane che lascia la moglie per andare a cercare lavoro altrove. Dopo vent’anni di lavoro, anziché pagarlo il padrone gli dà tre consigli, che gli salveranno la vita durante il viaggio di ritorno. Ma vi risparmio il resto, tanto già lo sapete che non si prendono decisioni affrettate etc.

Quasi le 3 pm. Già caricati gli zaini sul gua-gua per Los Patos. Sono molto onesti. Finora ci hanno sempre chiesto il prezzo indicato sulla Lonely Planet o che ci era stato detto prima, non abbiamo mai dovuto barattare o litigare perché siamo stranieri. “Cristo viene ya!”, c’è scritto su un albero qui davanti. Beh, devo dire che tutti questi messaggi cominciano a infondere fiducia.

Bienvenido a Santo Domingo (ce lo diciamo da soli va’)

Bienvenido a Santo Domingo (ce lo diciamo da soli va’)

11 Marzo 2014

13.04 In taxi. Le palme e poi il Mar dei Caraibi. Il rumore dell’aria che entra dai finestrini aperti copre quello dei pezzi della macchina che si stanno per staccare.

Ore 2 del pomeriggio circa. SANTO DOMINGO. 

Pranzo con pollo e riso, buonissimo. E siamo in attesa di un hamburger. Pollo e riso: credo proprio che non sarà l’ultimo di questo viaggio. Ricordo che al carnevale di Notting Hill era il piatto tipico dei Jamaicani (vicini di casa).

In albergo c’è il Wi-Fi, sono riuscita a chiamare mia mamma con Skype. Che mi ha detto? Non preoccuparti che i gatti non sentono proprio la tua mancanza, stanno benissimo. … ….

Abbiamo provato a prendere un mezzo pubblico dall’aeroporto fino a qua, ma non c’è stato niente da fare. C’è un gua-gua (i mini-bus locali), ma è solo per i dipendenti dell’aeroporto. Dopo un’ora di trattative siamo riusciti a farci portare per 20 USD circa, 1000 RDS.

Santo Domingo è la città più antica del Nuovo Mondo e vi si trova quella che i dominicani amano definire la Catedral Primada de America, anche se in realtà ne era stata costruita una prima, a Città del Messico, che però èdurata solo qualche decennio. Quindi visita quasi obbligata a questa cattedrale, dalle mura molto spesse e rinfrescata fin troppo da degli enormi condizionatori d’aria. Non visiteremo molte chiese e musei, ma questa mi sembrava interessante. I locali della Zona Colonial sono molto belli, arredati con gusto e spesso nascondono dei giardini interni. Dappertutto per la strada si trovano piante dai bellissimi fiori fucsia, simili alle nostre… bouganville?

16.35 Ed eccoci in Plaza de Espana con la prima coppia di Presidente, la birra nazionale. Anche questa prevedo sarà una compagna fissa di viaggio. Sono stanca morta. Siamo un po’ provati dal viaggio e le birre ci sono andate subito in testa (anche perché son bottiglie da 66 cl). Luca comincia a farneticare (minaccia di abbandonarmi se non la smetto di dirgli che deve dire “por favor” e “gracias”). Ho voglia di andare a vedere il mare e metterci dentro i piedi.

santo domingo zona colonial

20.36 Stanchi morti, piedi e mani gonfi come l’omino Michelin. Abbiamo deciso di partire già domani e andare a sud di Barahona (ad ovest de La Capital, come chiamano qui Santo Domingo), verso Paraiso (un nome, una promessa) e più in particolare alla spiaggetta Los Patos. Così ci avviciniamo al confine con Haiti.

Dopo un giro tranquillo per la Zona Colonial (l’area più turistica della città) e uno meno tranquillo per andare a vedere il mare (per attraversare la strada non appena c’è uno spazietto si passa di corsa la prima corsia, si aspetta dove c’è la linea di metà carreggiata, si tengono zaino e macchina fotografica sui fianchi per diventare il più sottile possibile, si spera che degli idioti per farti uno scherzetto e fingere di venirti addosso non ci riescano veramente, e appena è libero si corre dall’altra parte), abbiamo pensato bene di cercare l’agenzia che vende biglietti del bus per Barahona, per vedere se bisogna prenotare e a che ora parte. Per la prima volta da quando mi affido a lei, la Lonely Planet non sembra particolarmente d’aiuto. Dalle poche informazioni che dà sembra che i bus partano dalla zona del Parque Enriquillo, ma non si capisce esattamente da dove. Capiremo poi perché.  In una stradina che fiancheggia il “parco” (una piazza con un po’ di verde, delle panchine, venditori ambulanti e tante brutte e sporche facce che gironzolano), vediamo la prima agenzia. I loro bus non vanno a Barahona; la ragazza della biglietteria non saprebbe dove indirizzarci. Chiedete fuori, ci dice. Ehmmm… ok. La Lonely Planet segna un’altra agenzia su un altro lato del parco. Ci andiamo. Non c’è niente. Allora chiediamo a un ragazzo che sta urlando una destinazione per noi incomprensibile per far salire sul suo gua-gua possibili interessati. No, non è qua la Parada per Barahona. Dobbiamo andare più a nord. 5 esquinas più in su (esquinas… non mi dice niente. Sarà strada? O angolo? Boh, poco cambia. Andiamo in su). 5 esquinas più in su, dopo aver attraversato strade super trafficate, dove non esistono strisce pedonali e la tua faccia bianca non ti aiuta (e anche se ci fossero le strisce e avessi la faccia nera non cambierebbe niente), dove per attraversare devi approfittare del rallentamento causato da una macchina proveniente da una strada laterale che cerca di inserirsi tra le macchine che corrono, dove le macchine si scontrano ma non hanno neanche il tempo di fermarsi per controllare i danni, dove c’è chi deve rimettere la macchina al suo posto lungo il marciapiede perché ha provato a partire ma dopo due metri di tentennamenti la macchina è morta definitivamente, dove un bambino che arriva di corsa urlando qualcosa ti spaventa perché pensi che voglia assalire te e invece sta solo chiamando un amico… Ecco, passiamo queste 5 esquinas, vediamo dei bus grandi, ma non sono questi. Dovete andare a destra, lungo questa strada, dal lato opposto. Andiamo. Altro garage con bus grandi. No, non è qua. Dovete andare ancora più avanti. Ok, ci diamo un’ultima possibilità, perché ormai è più di un’ora che camminiamo da ste parti e non ce la facciamo più. Il vecchietto fuori dalla bella sala d’attesa (così in contrasto con il bordello che c’è fuori), quando ci vede che non sappiamo dove andare, con il fucile a pompa ci indica il bagno. No no, grazie, non è quello che ci serve. Ma vicino al bagno abbiamo visto la biglietteria. Chiediamo. Niente, non è neanche questo . Vabbè, torniamo all’hotel. Magari domani proveremo a chiamare.

Torniamo in strada. Le strade qui formano una griglia, quindi è abbastanza facile orientarsi. Prendiamo una strada diversa per tornare, parallela a quella trafficata di prima, e il ritorno è un po’ più tranquillo. Luca comunque non vuole fermarsi in uno di quei ristorantini locali dove vendono pollo e riso, è un po’ preoccupato che mi possa succedere qualcosa. “Allucinante”, continua a ripetere. Ed allucinato è il suo sguardo. Io invece sono abbastanza tranquilla, perché vedo ragazze e bambini girare da soli, e questo mi tranquillizza sempre. Quando siamo di nuovo nella Zona Colonial rallentiamo il passo, e mi è anche passata la fame.

Quindi a letto senza cena. Vabbé, ci rifaremo domani.