13 Marzo 2014

12pm. Fatto il primo bagnetto nel Mar dei Caraibi. A Luca piace la spiaggia con i ciottoli perché non sopporta la sabbia che si ferma tra le dita dei piedi. Io non riesco a trovare una posizione sdraiata senza che un sasso mi trafigga un polmone o lo stomaco. Sono arrivati altri due occidentali che sono entrati in acqua ora. Faccio una fatica bestiale a camminare sui sassetti (Luca si stupisce perché dice che ho due solette sotto i piedi, abituata come sono a girare scalza); in più per uscire dall’acqua c’è una salitina di un metro circa, causata dalle onde che hanno depositato lì i sassi. Beh, non ce la faccio. Mi devo mettere a gattoni per spostare un po’ di peso sulle braccia. A Luca quest’immagine fa morire dal ridere. Vorrebbe farci un video. Ecco, mancherebbe solo questo: un video su youtube di me in costume che a quattro zampe cerco inutilmente di uscire dall’acqua.

13.30 Amelina, dagli occhioni neri dolcissimi, ci ha venduto per pochi centesimi un buon dolcetto fatto con noccioline e tanto zucchero. E’ uscito il sole. Sarà impossibile stare in spiaggia ora, quindi dopo pranzo ce ne andremo sulle sdraio attorno alla piscina dell’hotel.

los patos

Mega pranzo in spiaggia oggi: aragosta con banane fritte e un ottimo pesce fritto con riso e ceci. Ho paura a vedere il conto però. Degli altri bianchi si sono portati l’ombrellone, sono stati più intelligenti di noi. Amelina si è messa all’ombra con loro, nella speranza di poter racimolare qualche altro spicciolo. 950 RDS il conto. 16 euro. Neanche tanto dai.20140326-125349.jpg

14.07 Siamo alla piscina dell’albergo. Fa troppo caldo per stare in giro. Qui invece siamo all’ombra, con una brezza leggera, un cactus e una palma da una parte, dei banani dall’altra, come sottofondo i belati di una capretta, il pappagallo che chiama Gionatan (uno dei figli di Giordano) e ogni tanto un gallo.

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la piscina dell’Hotelito Oasi Italiana

18.00 Uff. Pausa. Esprite e Coca Cola. Siamo andati a vedere la piscina naturale alla fine del fiumiciattolo, ma era troppo all’ombra per buttarcisi dentro. L’oceano invece era troppo agitato e a me faceva paura (magari non mi spaventa la gente delle bidonville, ma dell’oceano non mi fido proprio).

natural pool in los patos

Allora siamo stati un po’ sulla spiaggia a decidere sul da farsi. Già Giordano quando gli abbiamo detto che volevamo andare ad Haiti ci ha guardati male e ha detto di lasciare perdere perché la capitale è pericolosa e l’intero paese è molto costoso (a me sembra già cara la Repubblica Dominicana, figuriamoci là!). Però non volevo crederci. Invece guardando la Lonely Planet sembra che in effetti sia un casino. Intanto per andare da Pedernales, che è a Sud-Est, verso Jacmel, che è sempre a Sud, sembra si debba passare per forza per Port-au-Prince, che è a Nord di Jacmel, a tre ore di distanza circa. Boh, forse per una volta la LP non è molto d’aiuto. E di alberghi a 40 USD ce ne sono gran pochi. A Port Salut, a ovest di Jacmel, dove sembra ci siano delle spiagge bellissime, gli hotel hanno dei prezzi improponibili. E allora mi passa la voglia di andarci. Tanto in Repubblica Dominicana ce ne sono di cose da vedere in 6 settimane, tra spiagge, parchi naturali e paesetti. Boh, vediamo. Cerchiamo un po’ in internet e chiediamo quando siamo a Pedernales.

casetta tipica della Repubblica Dominicana

20h14 E’ arrivato un altro veronese. E’ volontario in una missione vicino a Port-au-Prince per un mese e mezzo. Dice che gli haitiani odiano proprio i bianchi. Magari davanti ti sorridono perché hanno bisogno della tua mancia o altro, poi ti darebbero una coltellata. E poi non hanno voglia di lavorare. Appena ti giri si mettono seduti, bisogna sempre tenerli d’occhio. Secondo me è anche colpa di tutte le attività di cooperazione che ci sono nel paese: sono abituati a ricevere da mangiare senza bisogno di far niente. “Mori i xè”, dice Luca semplicemente. Sì, anche qui in Repubblica Dominicana son neri e non si ammazzano di lavoro come i veneti, ma qual è il modo giusto di vivere? Comunque quest’altro veronese mi ha confermato quel che già pensavo da un po’ di tempo: l’industria degli aiuti umanitari, la chiama lui, una magneria. Dei miliardi di dollari che sono stati raccolti negli Stati Uniti dopo il terremoto, solo il 3% è stato usato sul territorio (dati non verificati). Il resto si è perso nelle varie organizzazioni, tra spese amministrative, stipendi vari, veicoli super costosi, ecc. Sta roba mi fa venire una rabbia spaventosa! E pensare che qualche anno fa avrei voluto lavorare in questo settore! Resto convinta che il modo migliore per aiutare i paesi più poveri sia smettere di sfruttare le loro risorse e permettere loro di spostarsi all’estero, se c’è domanda di lavoro.

barchetta a los patos, repubblica dominicana

Ragazzini su una barca a Los Patos

Comunque anche lui sconsiglia di andare ad Haiti, che è un casino. Essendo dei morenti di fame assalgono i turisti in ogni dove, ché uno straniero ha sempre dei soldi con sé, per quanto pochi; poco tempo fa a Port-au-Prince hanno sparato a una coppia che usciva da una banca e non avevano neanche soldi con loro; devi stare sempre all’erta, etc. E poi l’ultima novità è che sembra che da Ainse-a-Pitre (il paesetto appena dopo il confine vicino a Pedernales) si debba salire su un barcone che viaggia di notte per arrivare a Jacmel, tipo la barchetta di legno dei pescatori, solo un po’ più grande, che una volta uno è anche affondato e ci son stati dei morti. Ops, com’è che all’improvviso mi è venuto un formicolio e una gran voglia di andarci?

Dei clienti chiamano Giordano: si è rotta la macchina e son bloccati per strada. Lui si fa passare il fucile dal suo cameriere/aiutante/servo/tuttofare, sale sulla jeep e va a prenderli. Sono le 9.30 di sera e lui non va da nessuna parte senza arma, perché qui è sicuro, ma meglio essere previdenti.