17 Marzo 2014, 11.05 del mattino.

Brunch con purè, stufato di carne e spaghetti con pomodoro e panna. Niente male. Spero arrivi presto anche il caffè. Image

Siamo stati ad Anse-à-Pitre, al di là del confine, a controllare com’è la situazione. In teoria per il barcone non serve prenotare, basta che ci presentiamo nel pomeriggio con 500 HTG (un euro corrisponde a circa 60 gourde haitiane, quindi il viaggio costa sui 4 euro a testa) e possiamo partire. Abbiamo anche già cambiato un po’ di soldi. Non ho visto nessun traghetto al molo, dovrà ancora arrivare. Aiuto. Chissà cosa ci aspetta.

Luca è nervoso. Secondo me è preoccupato per il viaggio.

Il mercado internacional si tiene il lunedì e il venerdì. Il barcone arriva il giorno prima, con merci e persone, e riparte la sera del mercato, ancora con merci e persone. Nei giorni di mercato la frontiera è aperta, noi siamo passati senza che nessuno ci dicesse niente o controllasse il passaporto. Chissà quanti haitiani passano di lì in questo modo. Però stasera dovremo farci timbrare l’entrata e l’uscita, per non avere problemi al nostro ritorno in Repubblica Dominicana.

Dicono che alla frontiera si sente la tensione che c’è tra i due paesi. Non qui, forse perché è una frontiera piccola e i due paesini sono ad un chilometro uno dall’altro, si scambiano continuamente quel che hanno e alcuni haitiani vanno quotidianamente a lavorare a Pedernales. Comunque quando siamo passati di là era tutto un bonjour di qua e bonjour di là, i bimbi erano super felici di vederci. Mi sa che non incontrano molti bianchi da quelle parti.

Al mercato hanno una sezione dedicata a scarpe e vestiti, una a frutta e verdura (ci sono sacchi di ceci, fagioli, riso, zucchero, caffè…), pentolame vario da un’altra parte. La gente va là a fare la spesa, perché nei paesini piccoli come Pedernales e Anse-a-Pitre non ci sono negozi di abbigliamento o altro. Alcuni comprano sacchi di riso e poi fanno il giro per Pedernales a rivenderlo ai ristorantini e alle botteghette.

12.20 Siamo al Malecon, a prendere un po’ di ombra e aria. Avrei voglia di uno di quei buonissimi frappè alla banana, ma la cafeteria che non ha caffè è ancora chiusa. Qui c’è gente che dorme su tronchi di alberi usati come panchina, chi traffica (prima c’è stato un losco passaggio di soldi di mano in mano), 3 tipi stanno preparando una colonna in cemento, un tizio sospetto ha tirato un sasso sul marciapiede davanti ad una ragazza per farle uno scherzetto, ma quasi la prendeva; un ragazzino con delle cuffie nuove da rapettaro è arrivato in bici e dalla tasca posteriore si vede uscire il calcio di una pistola. Che se ne farà un ragazzino così di una pistola? Niente di buono immagino.

16.00 Ultimo pranzo a Pedernales. MORO CON POLLO. Il moro è il riso con fagioli o ceci cucinati insieme. Fa caldissimo oggi. E’ già tutto pronto, devono solo scaldarlo un po’ (se siamo fortunati) e metterlo nei piatti. Quando sono andata a pagare la cameriera mi ha mostrato la foto presa da Facebook di un bambino dagli occhi azzurri. E’ tuo figlio? Le ho chiesto, senza far caso al fatto che fosse bianco. “No, ma mi piacerebbe avere un bimbo così”. Quindi vorresti incontrare uno straniero biondo con gli occhi azzurri? Già. Chissà quanto era disposta a pagare perché le prestassi Luca.

Sono riuscita a sentire la mamma via Skype, finalmente. Mi sembrava l’ultimo saluto. In effetti non so cosa ci aspetterà di là. Luca è ancora un po’ teso e stanco.

17.26 Anse-à-Pitre. Siamo sul molo. Stanno caricando la nostra barca. A piedi, si caricano sacchi o secchi pesantissimi sulla testa, vanno in mare, con le onde che li colpiscono in faccia, e depositano le merci sulle barche. Spero si avvicinino o organizzino delle barche più piccole per arrivare là, perché io non credo di potercela fare. Cioè, se proprio devo ok, ma preferirei di no. E poi come? Devo guadare anch’io? Mi mettono sulla testa pure a me? La nostra barca è la prima a destra. Intanto caricano le merci, e poi la gente, che ci si butterà sopra.

La frontiera haitiana ci ha chiesto 20 dollari a capoccia. Ladri! All’arrivo a Santo Domingo abbiamo pagato solo 10 dollari (e meglio avere dollari perché sennò sono 10 o 20 euro). Per uscire dalla Repubblica invece niente, temevo ci chiedessero di pagare anche lì, perché il veronese incontrato all’Hotelito ci aveva detto che tutti chiedono soldi e anche dalla Lonely Planet sembrava servissero altri dollari per uscire.

C’è un tipo super-puzzone, con una scarpa diversa per ogni piede, occhi da matto e fiaschetta in tasca, che continua a girarci intorno. Abbiamo visto gran poco di Haiti per ora, ma già si vede che sono più poveri. E pensare che un tempo era un paese rigoglioso, dove si producevano canna da zucchero e sigari e gli americani venivano in vacanza.

Se riusciremo ad arrivare di là, sarà una bella avventura da raccontare questa.

Siamo sotto un portico. Ci hanno detto di stare qui ad aspettare. Un bambino sta aiutando a disfare una rete: si fa passare il filo tra le dita e quando sente un amo lo attacca ai bordi di un cesto. Le donne continuano a fare da mangiare, per i viaggiatori e i trasportatori. Sono quasi le 6. Si parte fra 3 ore. Stanno suonando una campanella: è pronta la cena? C’è un tizio che dev’essere il proprietario di una delle barche: indossa una maglietta nuova di zecca, due scarpe uguali, e come se non bastasse due anelli e una collana.

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Le barche che ci porteranno a Marigot

“Che venga domani”, dice Luca. Un tipo ci ha detto che per salire sulla barca ci porterà uno di loro sulle spalle. Spero di aver capito male o che stesse scherzando.